La luce in fondo al tunnel del Covid

MONDO. Le malattie infettive come la peste, la sifilide, il colera, il vaiolo e la malaria hanno sterminato l’umanità per millenni. La peste decimò l’esercito ateniese durante le guerre del Peloponneso. La schistosomiasi, infezione ancora temibile in Africa, Asia e Brasile, fu scoperta nei reni delle mummie egiziane della ventesima dinastia (1185-1078 a.C.).

Le epidemie hanno per secoli condizionato la storia della Cina. Le pestilenze, importate dalle lontane zone di confine, hanno rappresentato una delle cause fondamentali del declino dell’impero romano. La peste nera fu un flagello di dimensione europea nel XIV secolo. Il vaiolo, nel Cinquecento, costituì l’arma decisiva che permise a Cortes il conquistatore e al suo piccolo esercito di soli seicento uomini di sottomettere l’impero Maya, milioni di persone. L’epidemia influenzale «Spagnola» del 1918 causò più vittime della Prima guerra mondiale.

I recenti avvenimenti, dovuti alla pandemia influenzale da Covid-19, hanno rappresentato, soprattutto per il mondo occidentale, un evento inaspettato non tanto per gli epidemiologi, gli storici della Medicina e gli specialisti di politiche sanitarie, ma per le persone comuni. La gente comune, che per decenni, dopo la Seconda guerra mondiale, aveva vissuto in condizioni di benessere relativo, anche se distribuito in modo diseguale, ha dovuto confrontarsi nell’anno 2020 con un evento minaccioso e catastrofico di portata mondiale, come la pandemia da Covid-19.

Nonostante la presenza di gravi epidemie globali (come l’infezione da HIV), di eventi epidemiologici locali (come le infezioni da virus emorragici tipo Ebola) e delle recenti epidemie influenzali, le condizioni di benessere economico e di sostanziale sicurezza sanitaria possono aver indotto, specie nella popolazione in Europa occidentale e in Italia, la convinzione di vivere al riparo da fenomeni infettivi devastanti.

Nel XXI secolo, recenti epidemie, come influenza suina, Sars, Mers, possono aver determinato la convinzione che tali eventi fossero qualcosa che ci riguardava da lontano, sia nello spazio sia nel tempo. Si è probabilmente giunti a vedere in una grande pandemia una tipologia di evento non solo geograficamente remoto, ma anche appartenente al passato, di cui niente, se non ragioni professionali, dovesse spingere a conoscere la Storia. La pandemia da Covid-19 ha colto il mondo occidentale impreparato, ma soprattutto privo di memoria.

A ciò può aver contribuito il fatto che la storia della Medicina e l’epidemiologia sono state poco trattate nelle scuole, nelle università o attraverso i mezzi di comunicazione, ad eccezione dei momenti di emergenza. La Storia è fondamentale per comprendere quanto profondamente le malattie infettive, epidemiche o pandemiche, abbiano costantemente accompagnato l’evoluzione dell’umanità. La Storia è essenziale per capire analogie e differenze con le esperienze passate, per poter fronteggiare i problemi immediati da parte degli addetti ai lavori. Da parte di noi tutti, la Storia è essenziale per vivere consapevolmente i fatti dell’attualità, vederne le caratteristiche, la portata e la potenziale incidenza, alla luce delle somiglianze e della diversità rispetto ad avvenimenti simili accaduti in passato.

L’umanità deve molto all’inglese Edward Jenner, medico di campagna che nel 1749, con il suo metodo sperimentale, salvò il mondo dal vaiolo ed aprì la strada agli studi immunologici. Il primo vaccino era stato inventato. Il nome vaccino, infatti, deriva dal fatto che per immunizzare e proteggere i pazienti, Jenner aveva utilizzato il vaiolo vaccino estratto dalle pustole dei bovini. L’umanità, più di 200 anni dopo la scoperta di Jenner, deve molto ai ricercatori vincitori del Nobel per la Medicina 2023 che, in brevissimo tempo, hanno sviluppato la tecnologia che ha portato alla produzione dei vaccini anti Covid-19 a m-RNA.

L’insieme di queste considerazioni mette in evidenza che l’avventura intellettuale, tecnologica ed economica, dello sviluppo di un nuovo vaccino è legata a molta incertezza, come comunemente avviene nella ricerca scientifica. L’evidenza della necessità di conoscere di più e di avere tecnologie migliori si è scontrata con la superficiale arroganza che la scienza conosca tutto e troppo.

La lezione che i Paesi del mondo devono imparare da questo Nobel è che la ricerca scientifica è un’attività complessa, preziosa e fragile, uno dei punti estremi del sapere umano che ognuno di noi deve ricordare, rispettare e proteggere. Questo Nobel ha permesso a tutti noi, sopravvissuti alla prima ondata Covid-19, di vedere la luce in fondo al tunnel, affidandoci senza se e senza ma alla ricerca scientifica.

*Direttore della struttura complessa «Vaccinazioni e sorveglianza malattie infettive» - Asst Bergamo Est

© RIPRODUZIONE RISERVATA