La manovra
di Draghi
va oltre gli scogli

Mario Draghi ha superato lo scoglio della manovra conducendola in porto carica dei contenuti che lui fortemente voleva: sostegno alla ripresa (Pil al +6 nel 2021, +4,7 nel 2022), investimenti pubblici, taglio delle tasse, sostegno sociale con la riforma degli ammortizzatori e transizione ecologico-digitale. Nella sua esposizione alla stampa, il presidente del Consiglio è apparso visibilmente soddisfatto del risultato raggiunto e dell’unanimità con cui il provvedimento è stato varato in Consiglio dei ministri. Dodici miliardi di minore pressione fiscale nel 2022 che diventano 40 nel triennio, 80 miliardi di investimenti che salgono a 540 in 15 anni, misure stabili nel medio termine per dare sicurezza alle imprese e agli investitori privati, conferma dei bonus anche se con limitazioni (soprattutto per l’edilizia).

Insomma, una manovra coerente con il Pnrr (Piano di ripresa e resilienza) e i connessi fondi europei che contiene tutto ciò di cui lamentavamo l’assenza negli ultimi anni, ben prima della crisi finanziaria del 2011: la diminuzione di un carico fiscale eccessivo su famiglie e imprese e massicci investimenti pubblici a far da volano al Pil e all’occupazione. Adesso che le risorse ci sono, il governo Draghi mette in campo con la massima coerenza possibile, le misure che consentano di spenderle e bene. Del resto, un Paese che da 25 anni cresce stabilmente meno di tutti gli altri partner europei, di questo aveva bisogno, e Draghi sta riuscendo a darglielo.

Ma abbiamo parlato di scogli. Che erano due, fondamentalmente. Il nodo delle pensioni e di Quota 100, e il reddito di cittadinanza. Cioè le due bandiere della Lega e del M5S. In entrambi i casi il presidente del Consiglio è riuscito a smontare la logica del governo rosso-verde del 2018 privando le due misure bandiera degli alleati di allora dei loro peggiori effetti. E ci è riuscito a modo suo, un po’ decidendo senza guardare in faccia a nessuno, un po’ dando tempo al confronto. Ma sulle due misure del tempo in cui «fu abolita la povertà», Draghi non aveva lo stesso giudizio. Non ha mai condiviso Quota 100 né in teoria né in pratica mentre del Reddito di cittadinanza apprezza l’intenzione ma non l’attuazione. E dunque: Quota 100 affonda alla fine del 2021, salvo un anno di transizione, il 2022, in cui si potrà andare in pensione con Quota 102 - evidentemente per non creare altri esodati - poi dall’anno dopo «si torna alla normalità», cioè ai 67 anni: ma decideranno le Camere più avanti. Il Reddito invece viene sì confermato e rifinanziato ma anche rivoluzionato: più controlli prima e non dopo la concessione del beneficio, più rigidità nel verificare la disponibilità di chi lo percepisce ad accettare proposte di lavoro regolari. Draghi lo dice chiaro e tondo: «Così com’è non ha funzionato» anche se in un momento in cui cresce la povertà assoluta, il governo non si sogna di ritirare l’aiuto che viene dato a più di un milione di famiglie.

Ecco dunque come Draghi supera gli ostacoli. Il M5S ne esce tutto sommato bene, la Lega non protesterà, quanto ai sindacati sul piede di guerra per le pensioni il presidente del Consiglio dedica loro poche e fredde parole: «Decidano loro cosa fare, noi siamo sempre aperti al confronto». È il metodo Draghi, quello per il quale «il governo va avanti». Anche con queste difficoltà politiche, anche con una maggioranza troppo eterogenea, anche con un partito di maggioranza a pezzi e un altro che sta un po’ in maggioranza e un po’ all’opposizione, anche in prossimità dei gorghi dell’elezione del Capo dello Stato a un anno dalla fine della legislatura: «Va avanti».

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