La politica di Draghi
supplente dei governi
Gli avversari sconfitti

All’Università Cattolica di Milano ieri è stata conferita a Mario Draghi la laurea honoris causa in Economia. Non era scontata. Il presidente della Banca centrale europea è figura rispettata ma anche controversa. In Germania è fresca dei giorni scorsi la vignetta della Bild Zeitung che lo raffigura con i denti alla dracula intento a succhiare sangue ovvero denaro ai risparmiatori tedeschi. E nonostante questa caduta di stile il presidente della Bundesbank Weidmann ha ritenuto di scegliere proprio questo giornale e, non altri ben più prestigiosi come il Financial Times per esempio, per rilasciare un’intervista dai toni fortemente polemici verso l’italiano della Bce.

Sono anni che il capo della Buba (soprannome della Banca centrale tedesca) lancia accuse a Mario Draghi a conferma che non è facile sedere su un alto scranno quando si porta la nazionalità di uno Stato ritenuto spendaccione. Aver vinto tutte le sue battaglie all’interno del consiglio dei 19 governatori della zona euro avendo costantemente contro un gruppo di Paesi guidati dalla Germania non era scontato. Ma a questi irriducibili non è mai riuscito a diventare maggioranza.

Così sono partite le iniezioni di denaro nell’economia europea che hanno impedito a Paesi come il nostro di fare bancarotta. E l’Italia non sarebbe stata la sola. Draghi ha avuto il grande merito di capire che in un’Europa a moneta unica e con gli Stati ancora autonomi nella gestione della politica economica il banchiere centrale deve nei fatti diventare un politico. Le critiche rivoltegli dai tradizionalisti trovano argomenti nello Statuto che assegna alla Bce il ruolo di guardiano dell’ortodossia monetaria. Il dilemma dunque suona così: applicare alla lettera le norme o dare ad esse un’interpretazione in sintonia con lo spirito del tempo? Far saltare l’eurozona e con essa le speranze di un’integrazione politica dell’Unione o trovare il modo di dare ancora una possibilità ai Paesi con difficoltà maggiori? La risposta la troviamo a Berlino. Senza l’avallo del cancelliere tedesco il presidente Draghi mai avrebbe potuto pronunciare le famose parole: qualunque cosa succeda. Credetemi. Uno scudo a protezione dell’euro che di fatto ha messo in fuga gli speculatori. Sì, Mario Draghi ha tolto le castagne dal fuoco ad Angela Merkel. Il governo di Berlino sapeva benissimo che con l’uscita dell’Italia dall’euro sarebbe saltata anche la moneta unica. E con essa l’ancoraggio della Germania all’unico vero progetto di salvezza nazionale: l’Unione europea. Ma la signora di Berlino aveva problemi a spiegarlo ai suoi elettori. Così a Draghi è spettato il compito di supplire alle scelte dei governi.

È in Europa che la Germania trae la sua credibilità nel mondo. E lo si vede in questi giorni segnati dall’atto terroristico antisemita di Halle. Il suo passato è ancora gravido di conseguenze sul presente. L’inserimento della Germania nel tessuto politico e sociale europeo è l’unica forma di legittimazione che la comunità internazionale è disposta a riconoscere a chi deve gestire l’ingombrante passato di un secolo di guerre. Il tutto mascherato in forma di ragione economica che pur ha il suo peso: il 60% circa dell’export tedesco è nell’ Unione. E tanto per chiarire i termini del problema a chi anche in Italia vagheggia percorsi fuori dall’euro: la sola Lombardia ha un interscambio con la Germania pari a quello che la Germania ha con il Giappone. Un’integrazione che non è più reversibile ed è questo il motivo per il quale gli avversari di Draghi anche se appoggiati dalle opinioni pubbliche nazionali hanno perso.

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