La politica e il ruolo di una classe dirigente

ITALIA. Ci manca poco e vedremo i partiti tutti in bella mostra alla guida dei trattori. Lo ha già fatto Matteo Salvini. Ma non è il solo. E non è solo la destra a scalare la protesta degli agricoltori.

Sui trattori è salito anche il magistrato simbolo del pool di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, nella sua nuova veste di coltivatore diretto, per non parlare di Mario Capanna, un nostalgico della protesta che rincorre ogni focolaio di rivolta, non importa se di contadini arrabbiati contro il «Green deal» (il Piano verde europeo) o al contrario di ecologisti suoi sostenitori. Fa un po’ fatica, ma è decisa a non restare a terra anche la premier Meloni. Venerdì scorso ha convocato le associazioni più importanti del mondo agricolo. Resta da vedere se, una volta salita sul trattore, riuscirà a spegnerne il motore per evitare di dirigersi verso Palazzo Chigi, ossia contro se stessa, o se lo indirizzerà verso Strasburgo.

Non ha fatto eccezione la commissaria europea, la presidente von der Leyen. Si è mostrata anch’essa disposta a fare marcia indietro su molti punti del «Green deal» (a partire dal caposaldo della riforma, l’abolizione dei pesticidi). La preoccupazione era di scongiurare uno scontro con il popolo dei contadini, alla vigilia del voto europeo.

Fa riflettere questa prontezza dei partiti ad invertire la marcia, non appena scoprono che le loro decisioni incontrano nella società forti resistenze. Saper correggere il tiro quando un provvedimento adottato presenta una forte ostilità in un settore importante del proprio elettorato è una virtù del politico. Se non vuole sbatter la testa contro il muro della realtà pur di non rinunciare alle proprie idee, deve esser disponibile a contraddirsi. Non c’è dubbio però che l’odierna corale marcia indietro dei politici è stata troppo repentina e troppo improvvisata per non averne intaccata la credibilità. In gioco non c’è una quisquilia. Stiamo parlando del Pac, la riforma della Politica agricola comunitaria, con cui l’Europa avrebbe voluto (il condizionale a questo punto è d’obbligo) conformare ai principi dell’ambientalismo l’intera agricoltura del continente.

La prontezza con cui la politica sta smentendo se stessa, non lede solo la sua credibilità. Rivela anche la fragilità delle basi su cui si regge l’ambizioso disegno ambientalista. Sembrava suscitare un consenso generale. Alla prima prova con l’opinione pubblica, è sprofondato. Come ha ben spiegato su queste pagine Valerio Corradi, conciliare ambientalismo, crescita - e, magari, pure welfare - non è affatto facile.

La rapidità della riconversione della politica nazionale e europea tradisce un altro limite ancora della politica post ideologica. Privata di una solida visione della società e del governo dei processi storici, i partiti si muovono un po’ a tentoni, pronti a fare un passo indietro ogniqualvolta si accorgono che qualcosa non va. I partiti ideologici - bisogna riconoscere - soffrivano di un grave difetto. Spesso si intestardivano a voler piegare la realtà alle loro idee oltre ogni ragionevole limite. I partiti senza ideologia, però accusano un limite ancor più grave. Non hanno idee precise di quale strada prendere. Finiscono con il farsi guidare dalla piazza o dai sondaggi. Non è propriamente questo il ruolo di una classe dirigente: essa deve appunto dirigere, non essere diretta. È un’inadeguatezza, la sua, che è destinata a portare purtroppo nuova acqua al mare dell’antipolitica.

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