La politica
non è morta

Non è vero che con l’arrivo di Draghi sia morta la politica. Era solo molto malata, e il compito del nuovo Governo non è certo di seppellirla, ma di applicare la stessa distinzione alla Draghi che vale per il debito: separare la pratica politica buona da quella cattiva. La controprova sta nel paradosso che persino l’antipolitica si è subito schierata per un governo «politico». La parola stessa era indigesta, e ora è una bandiera. Un bel contrappasso per chi ha vinto le elezioni in nome del disprezzo verso tutta la muffa politica del passato:
stato di diritto (da abolire, insieme alla prescrizione), libertà del mandato parlamentare (poi contraddetto dalla patetica caccia al trasformista), liberazione dalle catene dell’europeismo (viva la Russia, viva la Cina, viva Trump). Dopo tante contraddizioni, solo la buona logica politica potrà insomma aiutare chi governa.

Servono entrambe le competenze: quella tecnica e quella politica. Prima la pandemia ha rivalutato la scienza (altro che no vax) e poi la crisi politica ha dimostrato che anche quella politica è una alta competenza, frutto di studio, cultura, professionalità. Non a caso, la lunga agonia del governo Conte e ora la nascita di un nuovo orizzonte, hanno segnato il ritorno del «far politica».

Far politica è sottrarsi alle comodità del presente e cercare di anticipare il futuro. Richiede molto coraggio perché si tratta di mosse che creano problemi non solo agli avversari ma ai seguaci. Facile identificare chi ha fatto, o non fatto, politica in questi mesi, prescindendo dal giudizio sul merito e sul metodo, che nella Patria di Machiavelli non può che essere cinico ben oltre la spregiudicatezza. Liberi di criticare, naturalmente.

Si vedano, per capirsi, le mosse di Renzi e di Salvini. Renzi ha aperto la crisi controvento, aumentando ancor di più il proprio ruolo divisivo (l’antipatia, ha detto D’Alema, un intenditore) e attirandosi critiche anche da chi condivideva i motivi, ma raggiungendo, con il 2% dei sondaggi, gli scopi dichiarati e oggi è considerato il vincitore. Matteo Salvini, a sua volta, ha spiazzato mezzo mondo con l’endorsement a Draghi. Mossa rischiosa e acrobatica (addio Borghi&Bagnai), ma ultima via d’uscita dal vicolo cieco dell’alleanza europea con Le Pen ed estremisti tedeschi. Con un duplice effetto: agitare la sinistra e mantenere una leadership nel centrodestra, altrimenti da contendere a un Berlusconi da almeno un anno in recupero di credibilità e a Giorgia Meloni, la più abile nell’opposizione concreta a Conte. Anche lei ha saputo sparigliare, prenotando uno spazio che all’epoca di Monti era stato tutto di Salvini, facendolo crescere. Potendosi peraltro permettere la distanza da Draghi grazie al suo ruolo europeo di presidente dei conservatori, che la preserva dall’isolamento internazionale.

Un panorama, insomma, di dinamismi che fa ancora più evidenziare la staticità autolesionista dei tre soci del governo caduto, troppo appiattiti nella difesa di un dogma Conte o elezioni che non ha attratto neppure i cosiddetti responsabili e con un leader che per non sparire potrà portar via voti proprio a questi suoi acritici sostenitori.

Il lettore sarà magari sconcertato da queste disinvolte capriole, ma tutto questo movimento potrebbe essere in realtà il primo sintomo di un cambiamento di sistema forte e in meglio, con il pendolo della storia che già restituisce ruolo ai Draghi, ai politici di lungo corso come Biden e Merkel, in Italia persino a Casini e Tabacci.

La caduta di Trump ha mandato un segnale forse irreversibile. Non è dunque morta la politica, anzi è in crisi il fascino effimero del suo contrario, l’illusione delle cose facili in un mondo sempre più complicato. Il sistema politico italiano, come evidenziano molte crisi di identità a destra e a sinistra (per non dire del populismo), potrebbe essere alla vigilia di una forte ristrutturazione interna, favorita da un elettorato mai mobile come oggi.

Sotto l’ombrello di un Draghi rassicurante, in grado di rendere tripolare l’equilibrio europeo oggi solo franco tedesco, l’Italia potrebbe fare gli esami di riparazione e allora anche la brutta storia di questi mesi potrebbe essere stata utile.

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