La Provincia si candida per la regia del territorio

Bergamo e dintorni. La cabina di regia sul lavoro e la formazione. Il riavvio dell’osservatorio sulla montagna. Lo studio con l’Università per provare a gestire il dilagare di insediamenti logistici in pianura. Gli interventi nelle sedi istituzionali, per chiedere certezze di funzioni e risorse.

È una Provincia che cerca di rialzare la testa, di riconquistare un ruolo di regia sul territorio, quella delineata ieri dal presidente Pasquale Gandolfi nel brindisi – pure questo rispolverato dopo qualche tempo «in soffitta» – di fine anno con i giornalisti. Lo sforzo di tessere reti ed esercitare un coordinamento sul territorio si scontra però con la fatica di far quadrare i conti e con un assetto istituzionale chiaramente pensato, a suo tempo (governo Renzi, correva l’anno 2014) per gestire una fase transitoria. Che invece è diventata definitiva, dopo la bocciatura del referendum costituzionale che doveva abolire le Province.

Il risultato è che si naviga abbastanza a vista persino sugli organi di governo. Basterebbe ricordare la decadenza, dalla sera alla mattina a seguito di una circolare ministeriale, del predecessore di Gandolfi, Gianfranco Gafforelli. Ma un altro esempio è anche più attuale: un anno fa di questi tempi, come ha ricordato ieri il vicepresidente Matteo Macoli, il clima post-voto in Via Tasso era di alta tensione nel cercare la quadra dei confini della maggioranza e della distribuzione delle deleghe tra i gruppi. Trovata la pax, messa in moto la macchina, già alla fine del 2023 - salvo eventuali riforme - si andrà di nuovo al voto per il Consiglio provinciale. Rimettendo potenzialmente in discussione gli equilibri dopo un solo biennio di lavoro (e pochi mesi dopo, a metà 2024, sarà il presidente Pasquale Gandolfi a decadere, visto che non potrà più candidarsi a sindaco della sua Treviolo). Meccanismi che rendono difficile garantire stabilità e programmazione a lungo termine.

Di un ridisegno si parla da tempo, ora sembra che il centrodestra al governo voglia avviare rapidamente la discussione. A partire dal ritorno all’elezione diretta, da parte dei cittadini, di presidente e Consiglio (oggi votano sindaci e consiglieri comunali). Ma gli aspetti che richiedono una riflessione, se l’obiettivo è rilanciare questi enti, sono molti altri: nei mesi scorsi si è parlato della reintroduzione di una piccola Giunta, di riportare a cinque anni la durata in carica degli organi, di dare certezze sulle funzioni, di un riordino generale dei tanti organismi di secondo livello.

Se il ragionamento non sarà complessivo, si rischiano di nuovo riforme «zoppe», lasciando a metà del guado una realtà che sovrintende a 243 Comuni e oltre un milione di abitanti. E il discorso non può che guardare anche al portafogli. Oggi i conti delle Province sono appesi al mercato dell’auto (con tutti i guai che ne sono derivati nell’ultimo anno, soprattutto in parte corrente, con la frenata del settore), e una quota rilevante di entrate prende la direzione di Roma. Per Via Tasso si parla di 32 milioni, su un totale di 80.

Una boccata d’ossigeno, almeno sugli investimenti, arriva dal Pnrr: 39 milioni per le scuole sul 2023-2024. Che si uniscono al supporto da Regione e Stato su voci specifiche, dalle manutenzioni stradali ai ponti. Qui si apre però l’altro capitolo dolente: quello di un ente sotto organico, che ora deve fare i salti mortali per gestire le partite che si aprono, risultando anche poco attrattivo per i giovani professionisti. Insomma, le emergenze nazionali senza dubbio sono tante, ma un occhio alle Province sarà necessario. Altrimenti lo scenario rimane di erta salita, nonostante la buona volontà – largamente gratuita, visto che l’unico stipendiato, sul lato politico, è il presidente - dei protagonisti.

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