La ribellione di Balotelli
e i complici dei razzisti

Il problema che impressiona di più, a ben guardare, non sono i cori razzisti dentro gli stadi. Il razzismo è ovunque. Prendete per strada. Se un «bianco» passa col rosso, può partire la più ampia gamma di insulti. Ma nessuno, di certo, lo insulterà dandogli del bianco. Se col rosso passa un tizio di colore, o asiatico, o rom, scatta l’insulto razzista. Con varietà di toni, epiteti ed accompagnamenti, ma negare questo significa negare la realtà. Capita così spesso che quasi sorvoliamo. Il dramma del razzismo non è il «buuu», o l’insulto per un rosso: è che stiamo cominciando a darlo per scontato.

Poi, invece, arriva Balotelli. Che è quel ragazzo capace di srotolare duemila bigliettoni per vedere se davvero un tale per soldi è capace di gettarsi in mare col motorino, ma poi è anche quello che prende la palla e la scaglia in curva. Vade retro, retorica. Ma quella palla scagliata in curva deve far suonare la sveglia un po’ a tutti. Allo stadio, per strada, sull’autobus. Li abbiamo visti, o li abbiamo dimenticati, i video della vecchina che prende a ombrellate la donna di colore incinta per il posto a sedere sul bus?

Attenzione, però. Il razzismo c’è perché è quasi inevitabile che ci sia. Non lo cancelleremo mai, completamente. E si manifesta laddove trova uno sfogo. Lo stadio è uno di quei posti. Non ci rassegniamo, certo. Ma non ci stupiamo che accada. Le ortiche cresceranno sempre, specie laddove qualcuno le semini. Però le ortiche si possono estirpare, strappare e gettare nel bidone. Il giorno dopo il calcione di Balotelli, invece, assistiamo al solito, vile teatrino che tenta di smontare i fatti per rimetterli dentro il quadro della normalità di tutti i giorni. Il Verona che dice che «ma no, i nostri tifosi hanno questo modo simpatico (!) di fare», il presidente che sì, si scusa, ma poi dice che saranno stati due o tre. Il sindaco di Verona che dice che lui era allo stadio e non ha sentito niente, e che siccome non li ha sentiti allora vuol dire che non ci sono stati. Pazienza se poi in rete bastano pochi secondi per trovare il video e capire che due o tre non erano. E nemmeno 15-20, come dice la Figc.

È questo, il cancro vero, che in parte si è manifestato anche da noi, dopo il caso (e lì sì era uno solo, è provato e riprovato) di Parma in Atalanta-Fiorentina e l’insulto contro Dalbert. Il razzismo come «sentimento» (con mille virgolette) c’è sempre stato, e occorre farci i conti. Ma è nel farci i conti, che il modo fa la differenza. Quel dire e non dire, quel pavido derubricare ai «due o tre» per non offendere le curve, quel mettere sempre un «ma» (specialità dei politici) dopo la condanna, sono atteggiamenti che non estirpano, ma coltivano. Questo limitare la condanna al minimo sindacale, buono per un lancio d’agenzie, non isola nessuno. Anzi: ti dice che la tua società in fondo sta con te, se più di quattro righe non fa. Poi, tanto, domani si rigioca e amen, passerà anche questa e Balotelli - che è pure miliardario, se ne faccia una ragione - tornerà a pagare un tizio per buttarsi col motorino dal pontile. Non è solo il razzismo, a essere insopportabile: è la complice ipocrisia delle società, è la voce tremante con cui condannano, è lo spergiuro con cui annunciano espulsioni dagli stadi che non faranno mai, anche se potrebbero. Verrebbe da dire: i buuu escono da bocche che hanno la certezza di farla franca.

Il Sudafrica, 24 anni dopo il Mondiale di rugby vinto con la «spinta» di Nelson Mandela (è la storia meravigliosamente raccontata da Clint Eastwood in «Invictus»), ha rivinto l’altro giorno la coppa del mondo. Ventiquattro anni fa il capitano degli Springboks era un bianco sudafricano, François Pienaar. Ora, 2019, il capitano è un nero, Siya Kolisi. Andatevi a risentire le loro interviste, rilasciate dopo i trionfi. Non parlano di razze, parlano di persone sudafricane che stanno insieme, e che insieme, volenti e persino nolenti, spingono verso la meta. Vade retro, retorica. Ma qui abbiamo ancora qualcuno che dice (e tanti lo pensano) che Balotelli non sarà mai italiano. Tornate a scuola, o all’asilo, e se non volete studiare limitatevi a osservare le classi. Poi guardatevi allo specchio, e quel buuu ditelo forte, ma forte.

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