La scelta obbligata
dei 5 stelle a pezzi

E così Giuseppe Conte sarà il nuovo capo politico del Movimento Cinque Stelle. Sulle procedure formali per arrivarci un qualche accordo si troverà. I militanti solo poche settimane fa avevano deciso che a guidare il Movimento sarebbe stato un direttivo di cinque persone da eleggere e non più un capo solitario: pazienza, si troverà il modo per aggirare l’ostacolo, magari il direttivo a cinque diventerà la «segreteria» di Conte e anche i militanti di Rousseau dovranno star contenti. Del resto, perché Grillo ha pensato a Conte? Per la banale ragione che la sua creatura è a pezzi. Sì, certo, sta al governo, ha cinque ministri e un tot di vice e sottosegretari, e detiene il suo cospicuo lotto di potere nel sottogoverno e nelle aziende di Stato.

Ma ha appena subìto una maxi scissione mediante espulsioni (40 parlamentari tra Camera e Senato, i contrari, gli astenuti e gli assenti nella votazione di fiducia sul governo Draghi), è percorso da fortissimi malumori alimentati dagli esclusi dalle poltrone (che ormai si sommano: quelli rimasti fuori del Conte 1 più gli sbarcati dal Conte 2 e adesso i trombati da Draghi: un reggimento) ed è dilaniato dalla lotta tra mille correnti, gruppetti, camarille e cordate familiari. E poi ha perso Di Battista, il Che Guevara di Roma Nord, che se ne è andato sbattendo la porta e probabilmente si riaffaccerà dalle parti dell’opposizione. Ma soprattutto il Movimento perde voti a scapicollo: il mastodontico 32 per cento di soli tre anni fa appartiene alla preistoria, adesso il M5S si aggira tra il 15 e il 17 per cento con il serissimo rischio di essere superato da Fratelli d’Italia, stabilmente al 17 (Giorgia Meloni lo rilevò al 4, un passo prima della bancarotta) e dunque di diventare il quarto partito italiano da primo che era.

E primo resterebbe, almeno in questo Parlamento, con i deputati e i senatori del 2018 in cui per essere eletti bastava che proclamassero di andare a Roma per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Ma di tanti che erano, i «portavoce», tra espulsioni, purghe e fughe volontarie l’armata si è rimpicciolita e vaga in ritirata, senza una linea politica, una identità, una strategia, un capo. Passata la rivoluzione, resta il potere che oggi c’è e domani chissà. Ecco perché serve Conte. Perché il professore avvocato di Volturara Appula, presidente del Consiglio sia con la Lega che con il Pd indifferentemente, è l’uomo giusto per: a) ridare una sembianza di unità al Movimento dilaniato; b) presentarsi con l’aplomb giusto a qualunque tavolo di trattativa a cominciare da quello con Mario Draghi - posto che Draghi abbia voglia di trattare alcunché - con il quale bene o male Conte può discutere se non da pari a pari almeno da un decente livello (pensate Super Mario con Vito Crimi); c) mettere tutti i pretendenti alla corona, Di Maio e Fico soprattutto, in coda dietro a lui, con ciò provocando una sorta di disarmo multilaterale.

Grillo l’ha pensata questa uscita di sicurezza, e tutti gli altri gli sono andati dietro. Magari mugugnando in cuor loro - pensiamo a Di Maio che si ritrova ancora una volta Conte davanti ai piedi - ma sapendo che è l’unica strada per la salvezza. Serve comunque a soddisfare la base disorientata e a guadagnare tempo. Passato il tempo in cui i deputati grillini si presentavano a Montecitorio con l’aria trionfante dei giustizieri del popolo del Vaffa, adesso il motto è uno solo: tirare avanti. Che, come insegnava Andreotti, è sempre meglio che tirare le cuoia.

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