La scelta obbligata
dei 5 stelle a pezzi
Ma ha appena subìto una maxi scissione mediante espulsioni (40 parlamentari tra Camera e Senato, i contrari, gli astenuti e gli assenti nella votazione di fiducia sul governo Draghi), è percorso da fortissimi malumori alimentati dagli esclusi dalle poltrone (che ormai si sommano: quelli rimasti fuori del Conte 1 più gli sbarcati dal Conte 2 e adesso i trombati da Draghi: un reggimento) ed è dilaniato dalla lotta tra mille correnti, gruppetti, camarille e cordate familiari. E poi ha perso Di Battista, il Che Guevara di Roma Nord, che se ne è andato sbattendo la porta e probabilmente si riaffaccerà dalle parti dell’opposizione. Ma soprattutto il Movimento perde voti a scapicollo: il mastodontico 32 per cento di soli tre anni fa appartiene alla preistoria, adesso il M5S si aggira tra il 15 e il 17 per cento con il serissimo rischio di essere superato da Fratelli d’Italia, stabilmente al 17 (Giorgia Meloni lo rilevò al 4, un passo prima della bancarotta) e dunque di diventare il quarto partito italiano da primo che era.
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