La scuola e il voto
le due sfide del governo

L’autunno politico avrà due porte d’ingresso. La prima è quella della riapertura delle scuole il 14 settembre. La seconda coincide con il voto per le Regioni e il referendum. Passando attraverso di esse sapremo quale sarà il futuro del governo, della maggioranza, della stessa legislatura. Primo step: la scuola. Il riavvio delle lezioni diventa il segno di una nuova, possibile normalità nonostante l’allarme strisciante che ogni giorno ci ronza intorno con i suoi numeri di contagiati, positivi, tamponi, focolai, ecc. Se l’appuntamento con una convivenza accettabile con il virus fallirà, il governo sarà accusato di incapacità dall’opposizione e da larga parte dell’opinione pubblica.

La ministra Azzolina, sulla graticola da settimane per la sua inesperienza e per le dichiarazioni da brivido, sarebbe la prima vittima di una riapertura-caos. Va da sé che è vero anche il contrario. Nel senso che se nonostante gli allarmi della vigilia, le polemiche, il teatrino da psicodramma e le chiacchiere interessate, tutto procederà con una certa normalità e il caso si sgonfierà nella stessa mattinata del 14 consentendo all’ora di pranzo di tirare un sorriso di sollievo, il governo incamererà un dividendo politico molto importante. Difficilmente il presidente Conte, in quel caso, resisterà alla tentazione di una nuova conferenza stampa in diretta all’ora dei telegiornali della sera. Naturalmente il suo rinnovato protagonismo riaccenderebbe le inquietudini di quanti, di nascosto o apertamente, cercano di indebolirlo e di impedirgli un’ulteriore crescita politica che fatalmente lo candiderebbe al Quirinale (in fondo, chi c’è di più sopra le parti di colui che è riuscito a governare con gli uni e con gli altri senza fare una piega?). Ma lui, Conte, non se ne farebbe certo un problema: il suo unico problema è durare, durare il più possibile, poi si vedrà.

Anche se in certe regioni le scuole apriranno dopo le elezioni, sta di fatto che la riuscita o meno della operazione «scuole aperte» in campo nazionale avrà un valore generale e finirà per influenzare il voto in ogni modo. In questi giorni si sprecano le previsioni: da quelle più nere, che prevedono addirittura un cinque a uno per la destra cui sfuggirebbe solo la Campania, fino alle più tranquille che attribuiscono alla sinistra due Regioni (Toscana e Campania) e le altre quattro a Salvini-Meloni-Berlusconi. Nel primo caso la segreteria di Nicola Zingaretti avrebbe i giorni contati e il governo comincerebbe a fibrillare. Forse prevedendo un simile esito il segretario del Pd l’altro giorno ha lanciato un altolà ai partiti alleati e ai suoi stessi compagni di partito avvertendoli che strumentalizzando la possibile sconfitta si aprirebbe la strada non ad un rimpasto o a un Conte-ter ma alle elezioni anticipate (che nessuno vuole, soprattutto se il numero dei deputati e dei senatori verrà dimezzato). Se invece il Pd e il centrosinistra riusciranno a mantenere la roccaforte toscana e la trincea del governatore De Luca a Napoli, di sicuro non si festeggerà ma non si correranno rischi gravi e immediati, al massimo si potrebbe provare un rimpasto.

Un governo non danneggiato dalle elezioni regionali potrebbe con maggiore sicurezza affrontare le sfide di programma che aspettano di essere affrontate (riforma fiscale, progetti per il Recovery Plan, questione del Mes). Certo, una volta celebrato il referendum che regalerà ai grillini una facile vittoria, il Pd resterà comunque insoddisfatto visto che dal M5S non ha ottenuto come pattuito la riforma elettorale prima del referendum. E anche questo potrebbe essere addebitato al segretario Zingaretti.

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