La scuola tra principi
e scelte obbligate

Lo scontro istituzionale tra il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina e i governatori delle Regioni è quanto di peggio potesse accadere alla scuola italiana. Come è possibile avere pareri discordi su una materia tanto drammatica, basata su dati scientifici, su numeri, quelli della diffusione del Covid, con la curva epidemiologica che non si piega? Come è ormai noto il governatore lombardo Attilio Fontana ha imposto l’obbligo della dad (ecco una nuova sigla che abbiamo imparato a conoscere in tempi di pandemia), ovvero della didattica a distanza, dal prossimo lunedì 26 ottobre. In Campania Vincenzo De Luca ha già disposto la chiusura di tutti gli istituti fino alla fine del mese. Fanno parte di due partiti ai lati opposti, ma il Covid non ha preferenze politiche, come è noto.

La ministra furente ha scritto a entrambi, chiedendo massima «collaborazione» per trovare soluzioni che possano tutelare «il diritto alla salute dei cittadini», ma anche il «diritto allo studio dei nostri studenti». Fontana ha risposto spiegando che la decisione è stata presa sulla base delle indicazioni del Comitato tecnico-scientifico regionale «stante la grave escalation nella diffusione del contagio». Che altro avrebbe dovuto fare? Stiamo vivendo una diffusione esponenziale dei contagi, con ragazzi che spesso sono asintomatici ma hanno cariche virali potentissime capaci di attaccare il virus senza che i contagiati si accorgano di nulla. C’è in ballo la salute dei ragazzi, ma anche quella dei loro genitori e nonni, oltre che di insegnanti e personale scolastico, che non sono abbastanza protetti poiché i protocolli non sono chiari e rischiano di rimanere a scuola a infettarsi anche se la classe è stata mandata in quarantena perché si ritiene che siano stati a distanza dai loro alunni. Dove peraltro non tutti gli studenti hanno la possibilità di fare lezione a distanza, e dunque siamo daccapo.

Che avrebbe dovuto fare Fontana di fronte alla minaccia di una nuova ondata? Lo sappiamo tutti che la didattica a distanza ha i suoi limiti, che il rapporto con il docente è fondamentale e che non tutti gli studenti hanno a disposizione un Mac di ultima generazione e una wi-fi potente, anzi alcuni nemmeno hanno il computer, oppure devono dividerselo con gli altri componenti della famiglia. Peccato che in questo momento diritto alla salute e allo studio non si conciliano e dunque di fronte a un «trade off» bisogna fare delle scelte. E la scelta non può che propendere per la salute. C’è anche il detto, no? Meglio un asino vivo che un dottore morto.

Il coprifuoco non basta a evitare la diffusione dell’epidemia. Le misure prese a scuola sono sufficienti? Forse dentro la scuola, dove presidi, docenti e personale non si sono risparmiati per rendere la scuola un luogo sicuro. Ma non serve a nulla rimanere distanziati in classe, cambiare i banchi, erigere muri, predisporre turni tra docenti, distribuire mascherine, ingressi per gli studenti scaglionati, vietare l’intervallo se poi al suono della campanella ci si ammassa nell’atrio e negli autobus strapieni, certamente il principale veicolo di contagio in questo momento. Fontana lo sa bene. E infatti ha risposto alla Azzolina che la Regione non ha risorse sufficienti «in termini economici, di personale e di parco mezzi» per potenziare il trasporto pubblico, usato in Lombardia dal 44,5% degli studenti over 14. Si potevano alternare le lezioni dad con quelle in presenza? Non in Lombardia, dove stiamo tornando ai livelli di aprile con i contagi.

Il ministro sostiene che il Dpcm del 18 ottobre 2020 «ha previsto indicazioni molto chiare per la gestione delle misure da adottare con riferimento alle istituzioni scolastiche, prevedendo in primo luogo la prosecuzione, in ogni caso, in presenza, delle attività didattiche ed educative della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione». Indicazioni chiare? Provate a chiederlo a un docente o a un preside.

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