La spesa pubblica
e i conti difficili

La prudenza e responsabilità manifestate dal ministro Giovanni Tria nella sua recente visita a Bergamo dovrebbero rassicurare chi teme fortemente per il breve e medio termine della nostra economia, ma il teorema che deve risolvere è di quelli impossibili. Il governo forse non ha letto bene il Def dello stesso Tria, perché solo per lavoro e pensioni ci sono 94 miliardi sicuri di aumento nel triennio, mentre le entrate in più sono di 50,4 miliardi. Non solo, algebricamente, non bastano, ma riguardano proprio

quell’aumento Iva che si giura che non ci sarà. Risultato: +8,5% di spese nel triennio. A fronteggiarle, solo la speranza di ripresa (+0,2%) e gli effetti di reddito di cittadinanza e quota 100, che valgono sempre in tre anni lo 0,6%, parola di Def. Trovare 23 miliardi a debito come nel 2019 va bene una volta, ma poi il creditore ti prende per la gola, e infatti ci sono a budget 11 miliardi di interessi in più, rispetto a quanto previsto un anno fa. Svendere il patrimonio, che potrebbe essere l’altra soluzione, rischia di affondare la Cassa depositi e prestiti, salvadanaio dei pensionati italiani. Comprensibile che allora si parli, per il dopo 26 maggio, più di patrimoniale che di tassa piatta.

Il taglio della spesa, come il recupero dell’evasione fiscale, è un compito drammatico per qualunque governo, perché colpisce categorie e interessi, ma questo si è definito un governo diverso da tutti gli altri. Sui suoi prevedibili difetti di competenza si doveva sorvolare, proprio perché avrebbe adottato metodi sconosciuti. Una «manovra del popolo» non ha lobby da ascoltare, clientele da difendere e fa tutto in streaming (nel primo mese). Lo scorso anno di questi tempi, secondo i 5 Stelle c’erano almeno 70 miliardi, tutti «sprechi e privilegi» da tagliare, che «quelli di prima» non potevano certo toccare essendo il loro alimento elettorale. Se ne sono convinti il 32% degli elettori.

Ebbene, la spesa pubblica complessiva sfiorava, quando è arrivato il «cambiamento», gli 800 miliardi. Salirà quest’anno di almeno altri 12, nel 2020 a 832, poi supererà gli 848 e l’anno dopo arriverà a 864. Tagliare «facilmente» 70 miliardi corrisponderebbe a meno del 10%, che sarà mai? Se si ha coraggio e non ci sono oscuri complotti, si fa. Lo dice il contratto! Peccato che gran parte di quella spesa è legata a stipendi e spesa sociale, e al massimo si può incidere sui beni intermedi (per capirsi, forniture ai ministeri e carta igienica alle scuole, che infatti spesso non l’hanno) e solo per interessi da pagare se ne va il 3,5% del Pil. Se poi ci sono nuovi sussidi e pensionamenti anticipati l’incremento è matematico. L’economista Giavazzi si era esercitato anni fa sui 30 miliardi di incentivi alle imprese e aveva concluso che solo un terzo era aggredibile, ma occorreva tagliare ad esempio alle Ferrovie, con tanti saluti ai pendolari.

Di «spending review» si parla comunque ancora, e sono stati nominati nuovi commissari, ma affidare la partita alla Castelli, quella famosa solo per le gaffe in tv, era un po’ troppo, e la nomina è stata revocata dopo una settimana. Il Def di Salvini e Di Maio prevede una «spending» di 2 miliardi quest’anno, 3 il prossimo e altri 3 nel 2021. Totale 8 e dunque in tre anni la spesa pubblica dovrebbe calare dell’1%, (che sono in gran parte riservati al taglio del trasporto pubblico locale, vedi sopra). Altro che 70 miliardi. Nel frattempo, sono stati innescate le ragioni nuove di spesa per ora definite provvisorie, relative a quota 100 e reddito di cittadinanza, ma che sarà difficile negare a chi viene dopo. Spese pesanti per tutti che peraltro hanno riguardato piccole minoranze: 300 mila pensionati su 16 milioni, molto meno di 1 milione di poveri sui dichiarati 5 milioni, 200 mila imprese su 4,5 milioni. E ora sono promessi risarcimenti ai truffati delle banche, speculatori compresi, da pagare non con soldi delle banche, ma dei contribuenti. Come è accaduto, sembra uno scherzo, nell’ultimo Consiglio dei ministri, l’ordine del giorno del Paese Italia segnala solo un punto: varie ed eventuali.

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