La tassa globale è giusta equità

Moltissime multinazionali, compresi buona parte dei «giganti del web» non evadono le tasse. Le eludono. Nel senso che spostano i capitali e le sedi in vari paradisi fiscali, dove la tassazione è molto bassa. Il vantaggio è reciproco. Anche per le isole off-shore e gli Stati che consentono queste scappatoie fiscali è sempre conveniente, dato che non ospitano quasi mai impianti produttivi e non hanno un mercato di grande portata. Con questo sistema (legale) di dumping fiscale miliardi di dollari che spettano alle casse degli Stati rimangono nelle tasche degli azionisti. Ora però la musica sta cambiando. I ministri delle Finanze del G7 hanno raggiunto un accordo storico sulla tassazione globale. Le imprese internazionali saranno soggette a una tassazione minima del 15%, applicata Paese per Paese. Inoltre sarà difficile trasferire gli utili: le maggiori aziende transnazionali, con margini di profitto di almeno il 10%, vedranno il 20% di tutti gli utili oltre tale soglia riallocato e tassato nei Paesi dove vendono i loro prodotti o servizi.

Facciamo un esempio: se una multinazionale ha profitti per un miliardo di dollari in Italia, dovrà versare all’erario del nostro Paese il 20% di 900 milioni di euro, 180 milioni. Finora tutto questo non avviene. Le multinazionali in particolare le cosiddette «web soft», i giganti della Rete, pur registrando fatturati vertiginosi, con picchi del 300%, con incassi pari a quasi mille miliardi di dollari a livello globale, eludono le tasse spostando la sede nei Paesi che permettono l’elusione. I più famosi sono Singapore, Irlanda Lussemburgo e Olanda. Quell’Olanda «frugale» che a ogni occasione in sede di Commissione europea ci fa le pulci sui nostri bilanci e quasi ci prende in giro: da una parte ci costringe a una politica fiscale rigorosa e fa di tutto per bloccare i nostri investimenti, dall’altra ci sottrae reddito attirando con aliquote più contenute tasse che spetterebbe a noi incassare, poiché l’attività delle multinazionali si svolge in territorio italiano.

Tempo fa Mediobanca ha calcolato, a fronte di un fatturato delle multinazionali del Web di 2,4 miliardi di euro, un contributo fiscale pari al 2,7% dei ricavi. Pochi milioni di euro. Bruscolini, per colossi di quel calibro. Ci sono sedi all’estero dove viene tassato un quarto dei profitti a fronte del 4% di investimenti e quasi nessun dipendente presente. Nel 2015, secondo un rapporto Ocse, l’Italia è stata derubata di 6,4 miliardi di gettito fiscale tramite i riallocamenti all’estero dei profitti delle multinazionali.

Secondo l’«Economist» le multinazionali spostano il 40% dei loro profitti nei paradisi fiscali. È stato calcolato che i quattro Stati dell’elusione fiscale (Irlanda, Lussemburgo, Singapore e Paesi Bassi) insieme raccolgono il 29% degli investimenti esteri permettendo alle multinazionali di eludere tasse per 240 miliardi di euro, tra cui 190 in Europa. Ma con la tassa minima globale non sarà più così, la concorrenza del dumping fiscale viene sterilizzata.

La svolta del G7 si deve al cambio di inquilino alla Casa Bianca. Se Donald Trump di tassare le multinazionali proprio non ne voleva sapere (anzi, aveva abbassato l’aliquota dal 35 al 21%), Joe Biden ha impresso una svolta sostenendo con determinazione la «Minimum Tax». In questi giorni il presidente americano è impegnato in un braccio di ferro «domestico» con i repubblicani, per portare le imposte sulle major statunitensi almeno al 28%. Biden ha bisogno di rimpinguare le tasse del Tesoro per finanziare il piano di uscita dalla pandemia.

Ora si tratta di estendere la decisione a tutti i Paesi dell’area Ocse. Se Olanda, Lussemburgo, Singapore e Irlanda si rifiuteranno di alzare le tasse (ma non dovrebbe accadere, perché conoscono i rapporti di forza) verranno sottoposti a pressione economica, politica e finanziaria da parte di Europa e Stati Uniti. Quanto alle multinazionali, hanno talmente guadagnato negli anni scorsi che non si lamentano nemmeno più di tanto. Si limitano a sostenere che in fondo loro creano posti di lavoro nei Paesi dove hanno mercato. Ma è una giustificazione un po’ debole, visto le cifre in gioco, se pensiamo che negli Stati Uniti la consociata di Microsoft ha registrato l’anno scorso quasi 315 miliardi di dollari (260 miliardi di euro) di utili, staccando dividendi alla casa madre per oltre 55 miliardi di dollari (oltre 45 miliardi di euro) senza pagare nemmeno un centesimo di tasse, grazie ai vantaggi fiscali di un paradiso fiscale: l’Irlanda.

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