La tassa sui profitti: chi pagherà il prezzo

BANCHE. Dunque il governo, nei panni di Robin Hood, ha punito le banche, colpevoli di aver innalzato sproporzionalmente i tassi dei mutui. Non solo: ha anche inviato un messaggio indiretto alla Bce, rea di aver chiuso i rubinetti del credito, innescando la speculazione degli istituti di tutta Europa.

Un provvedimento di sapore popolare che strappa gli applausi, condiviso da maggioranza e opposizione. Ma siamo sicuri che la misura approvata faccia gli interessi dei clienti e dei cittadini? Il problema è che rischia di avere grosse conseguenze sul mercato del credito. Per cominciare la tassa sugli «extraprofitti» delle banche, cioè sui maggiori guadagni ottenuti per via dell’aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti, ieri ha bruciato in Borsa 10 miliardi di euro, devastando i capitali delle banche. Il governo annuncia che dalla tassa una tantum si ricaveranno 3 miliardi, destinati alle famiglie in difficoltà intestatarie di mutui.

È un tema su cui il vice premier e ministro Matteo Salvini e il governo si erano molto impegnati: non hanno mai nascosto la politica della Banca centrale europea (Bce) di aumento dei tassi di interesse, che tra le varie conseguenze ha fatto aumentare notevolmente le rate dei mutui variabili. Ma è molto probabile che le banche si rifaranno sulle perdite in bilancio ricaricandole sulle commissioni dei conti correnti e sugli altri servizi. Del resto i conti correnti sono ormai reputati da molti un servizio di pagamento, che quindi non dovrebbero pagare un interesse: ma anche nel caso di altri strumenti simili, come i depositi, i tassi da pagare ai clienti sono stati aumentati molto meno di quelli sui prestiti.

Inoltre molti economisti fanno notare che alla lunga i tassi di interesse alti riducono la redditività delle banche, perché rallentano l’attività economica in generale: l’obiettivo delle banche centrali è proprio quello di rallentare l’economia per fermare tutte quelle dinamiche che portano agli aumenti dei prezzi. Non c’era bisogno di tassarle: sarebbe stato il mercato a punire gli eccessi degli istituti di credito. Forse il provvedimento avrebbe dovuto essere meno tranchant perché questa potrebbe finire per danneggiare il business delle banche, che soprattutto in Italia sono essenziali per un buon funzionamento dell’economia e per far funzionare il sistema delle imprese.

Quanto alla Bce, il suo scopo definito dallo statuto, è proprio quello di mantenere fisiologica l’inflazione. Purtroppo non si conoscono altri metodi per ridurla se non restringendo la circolazione del denaro. Non è colpa della Bce se in molti settori - carburanti, servizi, turismo, stabilimenti balneari - si è speculato su fattori «esogeni».

E a pensarci bene, la tassa rischia di essere iniqua se effettivamente, come dice Salvini, i proventi saranno destinati a compensare l’aumento delle rate per chi ha un mutuo a tasso variabile: di fatto si darebbero dei soldi a chi per scelta ha optato per una soluzione più rischiosa rispetto ai mutui a tasso fisso. Forse sul problema del rialzo sproporzionato e a volte speculativo dei tassi dei mutui più che il governo avrebbe dovuto intervenire la Banca d’Italia con la sua «moral suasion». Ma così non è stato.

E al momento rischiano di pagare le conseguenze di questa tassa i clienti delle banche e i risparmiatori che hanno investito sui titoli degli istituti di credito.

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