L’amore forte
che vince la morte
Però c’è da capire che, quando il gioco si fa duro, si punti a mettere al riparo sé stessi, per una sorta di legittima difesa. È desolante la solitudine alla quale i discepoli abbandonano il Maestro. Anche Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dopo avergli chiesto un posto privilegiato nel giorno dei pieni poteri, ora se la squagliano insieme a quasi tutti gli altri, nella convinzione che, quando si affaccia la morte, non ci sia più nulla da sperare.
Altri si fanno beffe e imprecano. C’era da aspettarselo, perché quando Gesù aveva compiuto prodigi e raccontato le parabole del Regno aveva lanciato un invito che aveva il sapore di una sfida: l’invito a riconoscere il profilo umile della potenza di Dio, efficace nel guarire le storie ferite e generoso nell’accogliere chi offriva almeno uno spiraglio per cambiare vita. È venuta l’ora della resa dei conti e molti pregustano la vendetta nei confronti di colui che aveva salvato tanti, ma rimaneva impotente quando si trattava di salvare sé stesso. La croce non è forse lo spettacolo impietoso delle promesse disilluse? Lo scherno è di casa in chi non si lascia sfiorare dal dubbio che la potenza possa dimostrarsi vera nel salvare gli altri anche a costo della propria vita. Lo può intuire soltanto chi ama, perché l’amore porta a dimenticarsi di sé per far crescere la vita di altri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA