L’assedio a Kiev e le sanzioni. La Russia
non si piega

La Russia si spezzerà, forse, ma per il momento non si piega. Sul campo di battaglia si riposiziona e continua a perseguire il vero obiettivo dell’invasione, che non è (e forse non è mai stato) dare l’assalto a Kiev ma prendere il controllo di tutta la parte Est dell’Ucraina, dal Nord di Khar’kiv al Sud di Odessa. Ma è soprattutto fuori, nell’agone della politica internazionale, che Mosca pare decisa a ribattere colpo su colpo. Le sanzioni funzionano, ci spiegano i politici occidentali, e poi ce ne sono sempre in serbo, come dimostrano gli Usa che ieri hanno colpito altre 13 persone fisiche e 21 organizzazioni in un modo o nell’altro legate al complesso militar-industriale.

Ma intanto il rublo è tornato, rispetto a dollaro ed euro, alle quotazioni di prima della guerra. I russi protestano, lo vediamo spesso. Ma intanto un sondaggio del Levada Centre ci informa che il tasso di approvazione di Putin è passato dal 71% di febbraio all’83% di oggi. E se noi decidiamo di ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia, il Cremlino ci anticipa e ci costringe a decidere subito.

Ieri, infatti, Vladimir Putin ha firmato un decreto che entra in vigore oggi e che dice: d’ora in poi, i cosiddetti «Paesi ostili» che comprano il gas da noi dovranno pagarlo in rubli. Per farlo, dovranno aprire conti correnti in rubli presso le banche russe. Se non lo faranno, noi interromperemo le forniture. Ci sarà qualche settimana di limbo, per risolvere le questioni tecniche, e poi via: o di qua o di là. Un provvedimento che era stato anticipato da Dmitrij Medvedev, che da presidente (2008-2012) si era guadagnato fama di liberale e adesso è il più falco dei falchi. L’altro ieri Medvedev aveva detto: «Bloccare il Nord Stream 2, perquisire la sede di Gazprom in Germania, bloccare i beni della Banca Centrale di Russia, ripetere che il nostro gas non è gradito… Ecco un ottimo sistema per restare senza gas, complimenti agli europei». Detto, fatto.

È chiaro, infatti, che questo è l’ennesimo risvolto della guerra in Ucraina che si scarica sull’Europa, assai più facile da colpire vista la vicinanza geografica e, soprattutto, la fitta rete di rapporti economici che la lega (o la legava) alla Russia. Anche se, ovviamente, non c’è solo questo. Il riallineamento totale di Bruxelles a Washington come nemmeno Trump avrebbe sognato. L’aumento delle spese per il riarmo, ovviamente in funzione anti-russa. L’afflusso di nuove truppe Usa e Nato ai confini con la Russia o nei dintorni. La fornitura massiccia di armi all’Ucraina invasa. Mosca vuole farci capire che il confronto ha un costo. Alla lettera: ieri, all’annuncio della decisione di Putin, il prezzo del gas alla Borsa di Londra è schizzato da 1.250 dollari per mille metri cubi (prezzo già alto) a 1.450.

Russia e Germania ieri hanno reagito subito, dichiarando che non accetteranno alcun ricatto. Il cancelliere tedesco Scholz, forse presagendo la bufera, aveva già anticipato di aver controllato i contratti e di aver constatato che questi prevedono pagamenti in euro o in dollari, mai in rubli. Fa sorridere che, con migliaia di morti a pochi chilometri, ospedali bombardati e milioni di profughi, per non parlare appunto del sequestro di beni russi e delle sanzioni, ci si affidi ancora a termini come «violazione contrattuale». Se Putin deciderà di chiuderci il gas non potremo certo ricorrere all’avvocato. Potremo solo comprarlo altrove e la soluzione più immediata, in attesa di accordi con nuovi fornitori e dell’entrata in funzione di nuovi gasdotti, è ricorrere al gas liquefatto, che infatti quei volponi di americani ci hanno già proposto. Spiegano però gli esperti che fino a 6 mila chilometri di tubo, in condizioni normali, il gas da gasdotto è sempre più conveniente. Il gas liquefatto viene estratto (per lo più con il fracking), poi appunto liquefatto, poi trasportato per mari e oceani con le navi gasiere, quindi riportato allo stato gassoso in appositi impianti, infine distribuito. Risultato di tutto questo lavoro: bolletta più cara di circa il 20%.

A Mosca lo sanno e puntano su questo per punire l’Europa. Forse pensano che, di fronte a un’improvvisa difficoltà, la compattezza continentale verrà meno. Una cosa è certa: per il momento non hanno alcuna intenzione di cedere.

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