Le Borse in positivo distanti dalle guerre

MONDO. In un mondo in disordine le Borse guadagnano. Il Nasdaq a Wall Street è cresciuto dall’inizio della guerra in Ucraina del 20%, il suo gemello alla Borsa di Francoforte, l’indice Dax, che racchiude le 40 imprese tedesche a maggiore capitalizzazione, è salito del 10%.

Mentre politici e media drammatizzano in cerca rispettivamente di una maggiore quota di elettori e di lettori, gli investitori mostrano una calma inusuale per una Borsa vocata per natura alla fibrillazione. Il sismografo dei movimenti tellurici della finanza tace. L’unico indice che dà segni di nervosismo in Italia è lo spread. Il differenziale con i titoli di Stato tedeschi ora ha raggiunto in forma stabile quota 200 punti. Ma si tratta di un fenomeno circoscritto alla congiuntura politica italiana del momento.

I mercati temono la manovra a debito del governo. Il Piano di ripresa e resilienza deve essere portato a terra e al momento non si hanno ancora certezze. È una fase di passaggio, il tempo di verificare che la serietà del governo non è di facciata. Colpisce invece che nemmeno il divampare della guerra in Medio Oriente ha indotto le Borse a vacillare: il Nasdaq segna + 2% e il Dax +0,6%. Questi indici fanno capire che l’investitore a sua volta ha strumenti di valutazione che non sono abituati a valutare in proiezione, sono caduti anche loro nella sindrome del nostro tempo: qui tutto e subito. L’inflazione sembra in calo, le Banche centrali si muovono per contenerne gli effetti e l’Ocse dà valutazioni di crescita per il prossimo anno.

Uno scenario rassicurante. L’economia si muove su canali già prefissati e il peggio della crisi energetica e della fornitura dei semiconduttori è alle nostre spalle. E pur tuttavia i segnali di turbolenze a venire non mancano ma sono indeterminate e quindi non si calcolano. Il Financial Times li chiama long tail risks cioè rischi a scoppio ritardato legati al trascinarsi degli eventi. C’è un indice che li registra, il World Uncertainty Index (le definizioni inglesi nell’economia ci tiranneggiano), che registra i resoconti degli analisti delle grandi imprese quotate in Borsa. Dal 2021 questo indice è balzato in alto. Il futuro è incerto e tutti lo sanno, dai governatori delle Banche centrali agli investitori che qualcosa dovrà pur accadere ma non si sa ancora cosa e quando. Così si vive vigili e si coglie l’attimo fuggente nella speranza che il temuto non accada per la fortuna, nonostante tutto, che sembra accompagnare l’Occidente dal 1945 a oggi.

Quali sono dunque i rischi ai quali andiamo incontro alla fine della globalizzazione indiscriminata e l’avvento del multipolarismo? La prima constatazione è che l’energia è diventata un’arma. Vengono meno i presupposti per la determinazione del prezzo del petrolio e degli altri combustibili. Offerta e domanda non regolano più il mercato. Prima gli Stati petroliferi riducono la produzione e fanno salire le quotazioni, quindi arriva la stretta dei tassi di interesse delle Banche centrali e il prezzo cala, poi segue il terrore in Israele e a produzione invariata e con gli stessi tassi di interesse i prezzi van di nuovo su.

Non vi è bussola. Per le terre rare sono 17 i metalli diventati indispensabili per la produzione di pale eoliche, schermi al plasma, batterie elettriche, ecc. La Cina da sola ne possiede 44 milioni di tonnellate, seguita dal Vietnam a quota 22 milioni. Sono valutazioni dell’US Geological Survey. Il loro utilizzo non risponde alle leggi dell’economia ma della politica.

Se la Cina decide di non esportare per l’Occidente sono guai. Ecco perché gli indici di Borsa tengono anche se l’incertezza prevale. La geopolitica prevale e se un evento non si può prevedere tanto vale vivere intensamente il presente.

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