Le chiese d’Oriente
testimoni nel male

Non accadeva da 700 anni e in quell’occasione l’origine fu la peste che nel XIV secolo colpì Gerusalemme. A Pasqua quest’anno, causa il coronavirus, il Santo Sepolcro resterà di nuovo chiuso alle funzioni religiose delle diverse Chiese cristiane. Un fatto che riassume la portata epocale dell’epidemia. Pure la Messa che ha segnato l’inizio della Settimana Santa celebrata nel luogo della crocifissione di Gesù non è stata aperta ai fedeli ma celebrata al mattino presto a porte chiuse, presieduta dall’arcivescovo bergamasco Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme: ha ricordato che «quando piangiamo su questa città insieme a Gesù da questo luogo, piangiamo su tutta la fraternità umana per questo momento difficile che sta vivendo e per questa triste Domenica delle palme.

Triste ma essenziale. Lui non risolverà tutti i nostri problemi, non ci darà tutte le certezze di cui la nostra natura umana ha bisogno, ma non ci lascerà soli. Sappiamo che ci ama».

Nella città delle tre religioni abramitiche la Pasqua si prolunga in tempi diversi, in base al calendario gregoriano cattolico e giuliano ortodosso, mentre la Pesach ebraica, cominciata dopo il tramonto di mercoledì scorso, si concluderà il 16 aprile. Tutte le confessioni hanno concordato di ridurre al massimo la presenza di fedeli ai riti.Ma anche la basilica della Natività è rimasta chiusa a causa del Covid-19, da inizio marzo. In un hotel della zona di Betlemme la scoperta di quattro casi sospetti di contagio ha indotto le autorità palestinesi a sigillare chiese e moschee e vietare per due settimane a pellegrini e turisti la visita del luogo della nascita di Gesù.

Tra i cattolici del vecchio continente, come tra i non credenti, prevale talvolta una visione eurocentrica del mondo: ogni accadimento viene letto riferendolo all’Europa. Una posizione che restringe la visuale e non permette di vedere i problemi nella loro globalità. Le Messe non sono sospese solo nelle nostre parrocchie ma anche in tanti Stati dove i cristiani sono una minoranza, in alcuni casi perseguitata ma che continua a testimoniare il proprio amore per Cristo, al punto di rischiare la vita per questa adesione totale. Le Chiese d’Oriente sono quelle che in questi anni più hanno patito la condizione di subalternità, per via dei conflitti mediorientali e dell’insorgere dell’islamismo jihadista. Proprio in questi giorni l’Isis si è rifatta viva definendo il coronavirus «un alleato di Allah» per la strage che sta compiendo in Europa e negli Stati Uniti, ma contemporaneamente ha sospeso ogni attività per paura di contagi: una posizione quantomeno contraddittoria.

Restrizioni alle funzioni religiose sono state introdotte anche in Egitto, nei Territori palestinesi, in Giordania, Siria, Libano e Iraq. La Chiesa copto-ortodossa egiziana, presa di mira da diversi attentati terroristici in tempi recenti, ha deciso di sospendere le preghiere e i riti e ha ordinato la chiusura delle parrocchie.

Le Chiese che hanno pagato di più la destabilizzazione del Medio Oriente sono quelle dell’Iraq e della Siria. Nel primo Paese hanno subito il conflitto - e le sue nefaste conseguenze - scatenato nel 2003 da Usa e Gran Bretagna, nel secondo la guerra per procura di attori quali Francia, Stati Uniti, Iran, Russia e Paesi arabi. E poi in entrambe i fronti la nascita dell’Isis. Ora il coronavirus, che finora è piccola cosa anche per diffusione rispetto a quelle ecatombe e alle sofferenze fin patite. Ma sono comunità che non si sono chiuse, hanno continuato a condividere quel poco che hanno con i musulmani più poveri. Testimoni nel male, anche nella Pasqua senza Messe.

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