Le ipocrisie sul clima svelate dal Papa

MONDO. Si chiama «ethics washing» ed è andata in scena tutta la sua potenza mediatica sul palco scintillante di Cop28 a Dubai.

È una pratica maldestra come tutte le autoassoluzioni preventive. Ci sono interessi da difendere e così le promesse da mantenere passano via. «Ethics washing», ma senza ammetterlo, anzi ingannando. È esattamente quello che Papa Francesco, nel discorso letto a Dubai dal Segretario di Stato vaticano il card. Pietro Parolin, ha chiesto ieri di non fare. Certamente la sua presenza avrebbe avuto un valore simbolico molto forte, ma è stato fermato dall’infiammazione polmonare. Tuttavia l’appello ad una nuova politica finalmente decisa a governare il cambiamento climatico dentro le ampie e drammatiche crisi che si porta dietro, è risuonato perfettamente sul green carpet di Dubai. Sarà ascoltato? Temiamo di no, come è già accaduto per ventisette volte.

Ma fino a ieri di fronte ai fallimenti si potevano accusare i Paesi più ricchi di «green washing», cioè di ecologismo di facciata con altisonanti promesse di soldi per fare poi pochissimo, operazioni sfrontate e suggestive di retorica verde. Da ora in poi l’imputazione cambia, perché lavarsi la coscienza è ben più grave che spazzare il cortile di casa. Francesco ha sperato fino all’ultimo che la politica potesse mostrare a Dubai la sua «nobiltà» e non la sua «vergogna». Ieri ha chiesto di guardare più lontano, forse troppo lontano, per capire gli intrecci tra disastri del clima e disastri delle guerre e le ricadute per la terra e chi l’abita. Ha chiesto di mettere i soldi pubblici e privati delle armi in un fondo globale per la lotta alla fame. La Chiesa lo domanda dalla «Populorum progressio» di Paolo VI, 1967, centinaia di guerre fa. Invece la finanza i soldi per le armi li trova sempre, per cibo e salute mai. L’anno scorso gli Stati africani hanno speso 36,3 miliardi di dollari in armamenti, spesa militare per lo più indotta da Paesi stranieri. Il «Piano Mattei» del governo italiano per l’Africa vale 600 milioni e i primi duecento saranno presi dal fondo green. Una beffa.

Solo Re Abdullah di Giordania a Dubai ha ammesso che «la devastazione della guerra amplifica quella del clima». Gli altri leader hanno osservato un silenzio assordante. Ma l’operazione di «ethics washing» non si è fermata. Così vai con il fondo «lass and damage» per risarcire dai disastri climatici i Paesi più fragili, 30 anni per averlo e un pugno di dollari gestiti dalla Banca Mondiale per non cambiare le politiche avide e predatorie dei donatori. L’Italia si è autoappuntata al petto la medaglia di prima della classe con 100 milioni di dollari donati. Ma la Svizzera ne ha messi 150 e ha solo 9 milioni e mezzo di abitanti contro i nostri 55. Eppure il Papa ieri ha detto che i ricchi devono ripagare il debito ecologico contratto con i Paesi più poveri.

Poi c’è l’energia rinnovabile e fossile. Bergoglio ha chiesto di metter da parte gradualmente la seconda. La Conferenza (forse) deciderà un aumento della prima. Ma il punto non sono le quantità assolute, ma le quote di sostituzione della seconda con la prima. E qui nulla cambierà, perché il mondo dovrebbe modificare stile di vita, cioè consumare meno, circostanza che solo la politica può programmare. Invece la politica alza bandiera bianca e non ha alcuna intenzione di invertire il rapporto attuale con l’economia. Giorgia Meloni ha interpretato benissimo il pensiero di tutti con la «neutralità tecnologica» sulla transizione che è un po’ il principio di Pilato, «ethics washing» di nuovo, mentre l’Italia firmava lettere di aggiudicazione per i giacimenti di gas al largo di Abu Dhabi. L’incursione corsara di Bergoglio a Dubai non è affatto piaciuta.

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