Le parole semplici rivolte anche agli adulti

ITALIA. Nello stadio Olimpico di Roma riempito da oltre 100mila bambini, sacerdoti ed educatori di 101 nazionalità diverse, Papa Francesco, «nonno del mondo», come lo definisce il «nonno d’Italia» Lino Banfi, risponde alla domanda di uno di loro su come si fa la pace.

«Perdonando e chiedendo scusa», risponde. Poi alla successiva richiesta, su come ci si deve comportare perché il mondo sia migliore aggiunge: «Non bisogna litigare, ma parlarsi amabilmente, giocare insieme, aiutare gli altri. Facendo queste cose il mondo sarà migliore». Le ragioni per cui il Pontefice ha fortemente voluto questa Giornata Mondiale dei Bambini passa dal potere salvifico dei «parvulos», che è alla base del Vangelo: «Se non diventerete come fanciulli non entrerete nel Regno». Prima del cristianesimo i bambini - soprattutto quelli poveri - erano poco più che schiavi, senza alcuna protezione, è stato il Vangelo a rimetterli al centro ridando loro dignità e invitando - anzi obbligando - gli adulti a comportarsi come loro, ovvero a manifestare la loro innocenza rivoluzionaria, il loro linguaggio semplice e diretto, privo di ogni ambiguità, il loro spirito ancora immune da ogni peccato, in un mondo dove - allora come oggi - dominano il potere e l’ipocrisia.

Non sorprende che nello stadio variopinto, affollato e agitato gioiosamente come un’onda d’amore la parola che più rimbombava in mezzo ai canti e agli slogan fosse la parola pace. L’incontro di ieri ha rivelato anche il grande amore paterno di Francesco per la fanciullezza, la sua immediata sintonia di educatore e catechista, la sua infinita tenerezza già dimostrata tante volte nel corso delle udienze. «Dovremmo fare pace. E come si fa la pace? Perdonando e chiedendo scusa. Vi farò vedere un gesto di pace, guardate bene» e stringe la mano al bambino chiedendo che ciascuno faccia lo stesso con chi gli è accanto.

Ed è come se in un mondo in cui predomina l’orrore della guerra, sordo alle istanze di dialogo e di non belligeranza, debole e refrattario alle iniziative diplomatiche, Francesco facesse ricorso all’ultima risorsa per dimostrare tutta l’assurdità dei conflitti che stanno martoriando tanta gente: i bambini. I bambini capaci di dire con il loro candore quanto il mondo stia precipitando in un abisso. Unici depositari di un futuro «pulito», ancora capaci di rispondere alle esigenze di salvaguardia del Creato e di dialogo tra i popoli. C’erano rappresentanti dell’Ucraina e della Russia, ieri, allo stadio Olimpico, e anche di Israele e della Palestina, persino minori riusciti rocambolescamente a sfuggire all’inferno di Gaza, dove sono morti tanti piccoli insieme con le loro mamme. La Giornata Mondiale dei Bambini pareva una piccola Onu tesa a manifestare tra canti, giochi danze e bandiere una autentica fratellanza tra i popoli.

Con questa Giornata, che proseguirà oggi, il Papa lascia a questi fanciulli il compito di portare avanti quella missione che i grandi non sono riusciti ad assolvere, quel «cielo e terra nuova» di cui si parla nell’Apocalisse. Lo fa con un linguaggio semplice e diretto, come una preghiera, affidando a questi pargoli ciò che non sono capaci di fare i loro genitori. Parlava ai fanciulli Francesco, ai nostri figli, ma oltre ai fanciulli parlava a noi adulti, alla nostra insensatezza, alla nostra incapacità di fermarci di fronte alla brutalità della violenza, di ascoltare l’odio e il rancore anziché coltivare la virtù evangelica del perdono. Ci invitava a fermarci, a coltivare la pace fin da domani, nella nostra quotidianità, al lavoro, in famiglia, con gli amici, nelle nostre scelte civili e sociali . «Siamo noi il futuro e la speranza, siamo noi il segno dell’amore…», cantavano i nipotini di Francesco saltellando tra gli spalti. Senza retorica, ma con quell’innocenza disarmante tipica di chi ha gli anni in tasca e che può sperare in un futuro migliore.

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