Le sanzioni e la nuova questione tedesca

Impossibile negare, alla luce delle recenti previsioni del Fondo monetario internazionale, che un ulteriore inasprimento delle sanzioni occidentali contro la Russia danneggerà più l’Europa che gli Stati Uniti. Difficile credere, inoltre, che un’interruzione repentina alle forniture di gas da Mosca non colpirà maggiormente Paesi come la Germania e l’Italia – molto dipendenti dal metano che arriva da est – più di quanto non farà con altri Paesi europei.

Tuttavia lo stop delle forniture di gas deciso dal Cremlino per colpire due Paesi europei, Polonia e Bulgaria, impone unaqualche riflessione aggiuntiva – al di là dei ragionamenti economici - sulla vistosa reticenza di Berlino a ripensare radicalmente le proprie relazioni energetiche ed economiche con Mosca.

La principale lezione che analisti, commentatori e cittadini dovrebbero fare propria è innanzitutto che letture moralistiche ed emotive applicate alle scelte di politica estera dei nostri alleati, inclusi quelli più vicini come la Germania, sono quasi sempre inadeguate. Ne abbiamo avuta l’ennesima dimostrazione nelle ultime settimane.

La principale lezione che analisti, commentatori e cittadini dovrebbero fare propria è innanzitutto che letture moralistiche ed emotive applicate alle scelte di politica estera dei nostri alleati, inclusi quelli più vicini come la Germania, sono quasi sempre inadeguate. Ne abbiamo avuta l’ennesima dimostrazione nelle ultime settimane. Pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità russe in Ucraina, per esempio, il governo tedesco guidato dal cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz si è guadagnato il plauso della stragrande maggioranza dei commentatori europei per la decisione di bloccare il gasdotto Nord Stream 2 che unisce la Russia alla Germania. Decisione simbolica ma di scarso impatto concreto visto che il gasdotto in questione non era ancora mai entrato in funzione. Così, trascorsi due mesi esatti dall’inizio dell’invasione, gli stessi commentatori (che fino a poco fa plaudevano a Scholz, auspicando decisioni della stessa portata da altri partner europei, Italia inclusa) si ritrovano il medesimo governo tedesco in prima linea nell’osteggiare nuove sanzioni, in particolare l’ipotesi di un tetto al prezzo o un embargo sul gas russo. Lo Scholz di oggi è davvero diverso rispetto allo Scholz di qualche settimana fa? Un po’ di storia recente dei rapporti tra Germania e Russia ci avrebbe dovuto vaccinare rispetto a certe illusioni.

Torniamo al biennio 2014-2015. Nel 2014 la Russia entra in conflitto aperto con l’Ucraina, annettendo la Crimea e poi inviando suoi uomini nel Donbass. A quel punto l’Unione europea decide di sanzionare Mosca. Proprio tali misure punitive furono tra i motivi che portarono al deragliamento di un progetto energetico cruciale come South Stream, un gasdotto che – grazie al coinvolgimento dell’italiana ENI - avrebbe dovuto portare metano dalla Russia verso l’Europa meridionale (Italia inclusa, dunque) passando sotto il Mar Nero ed eliminando qualsiasi transito in un Paese extra Ue. D’altronde la solidarietà europea all’Ucraina, starete pensando, non poteva che avere un qualche costo materiale per tutti noi. Vero. Peccato che allora la Germania di Angela Merkel, la cui leadership nel continente era uscita di molto rafforzata dalla lunga e dolorosa crisi economico-finanziaria, decise – per parafrasare George Orwell - che tutti gli Stati membri dell’Ue erano uguali ma qualcuno era più uguale degli altri. Nel 2015, come fece infatti notare l’allora premier italiano Matteo Renzi seppure senza alcun risultato pratico, la cancelliera tedesca da una parte esigeva il rinnovo automatico delle sanzioni alla Russia (molto più blande di quelle odierne e che colpivano in particolare le piccole e medie aziende italiane), e lasciava che il progetto South Stream venisse affossato, mentre dall’altra parte impiegava contemporaneamente tutta la sua abilità politica e diplomatica per rafforzare i legami energetici diretti tra Germania e Russia. Infatti Merkel, non contenta del completamento nell’ottobre 2012 del gasdotto Nord Stream, 1.200 chilometri di tubo dispiegati nel Mar Baltico per portare il metano dalla Germania alla Russia senza passare per l’Ucraina, proprio tra il 2014 e il 2015 accelerava per portare a termine il raddoppio della stessa conduttura (il Nord Stream 2, appunto), accrescendo così la dipendenza europea da Putin. Una certa ortodossia europeista al tempo se la prese col «guastafeste» Renzi, accusato di lesa maestà verso l’europeista per antonomasia Merkel, ma già in quel caso ad anteporre gli interessi nazionali a quelli collettivi era proprio Berlino. Lezione da tenere a mente per l’oggi.

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