Lega, il ritorno
morbido di Maroni

Ritorno all’antico, all’usato sicuro? La Lega non si lascia scrutare facilmente, ma la ricomparsa di Maroni segna il rientro della componente storica con qualche squillo di tromba. Un tassello vecchio stile, quello del «barbaro fogliante» come Bobo si definisce nella sua rubrica sul «Foglio», giornale dichiaratamente anti Salvini, che si aggiunge ad altre due pedine: Giorgetti, l’eminenza grigia riflessiva e silente, e il solido venetista Zaia avviato a conquistare una maggioranza bulgara alle prossime Regionali. Attenti a quei tre ingombranti, e qualcuno deve aver avvisato il Salvini declinante. Il rieccolo Maroni, abile manovriero e politico pragmatico, non sembra una buona notizia per Salvini, ma può esserlo per la Lega degli amministratori del Nord. Per come ha presentato la propria disponibilità a candidarsi sindaco di Varese (proprio leghista, non di centrodestra, in quella città dove tutto è iniziato), la scelta dell’ex governatore della Lombardia non appare di rottura verso Salvini.

Può essere letta, nel gioco di sponda con la vecchia guardia, come il ripristino di un esplicito confronto interno fra le due anime del movimento, ora che la stella salviniana, causa Papeete, non brilla come un anno fa: cioè fra l’ala del «sindacato di territorio», attraverso un bossismo rivisto e corretto, e quella nazionalpopulista.

L’una sorregge l’altra senza rompere il fragile equilibrio, almeno fino a quando non sarà definito l’incasso elettorale della traiettoria dell’attuale leader. Maroni, annunciandosi, ha riproposto le parole d’ordine della Lega di Bossi senza Bossi: battaglia per il Nord (ora che la questione settentrionale riprende quota), autonomia e federalismo. Oltre al ridisegno di un’area moderata, vagamente centrista, per intercettare gli elettori di Renzi e di Calenda, descritta da un leghista sempre attento alle ragioni del berlusconismo. In più, fatto non trascurabile, c’è l’omaggio ecumenico a Bossi e allo stesso Salvini. Il primo è scontato e reiterato, del resto Bobo – con la giornata dell’orgoglio padano proprio a Bergamo nel 2012, la serata della ramazza per fare pulizia del cerchio magico bossiano travolto dall’inchiesta giudiziaria – ha dovuto gestire con riuscito equilibrio la guida del partito nei «giorni di passione», il periodo più buio.

L’intermezzo che ha preparato l’arrivo del Capitano. Il secondo riferimento, invece, non era atteso. I rapporti fra Maroni e Salvini devono essere complessi e indecifrabili, specie dopo che il primo, optando per l’esilio, è entrato in un cono d’ombra. Ricordiamolo: non ricandidandosi a sorpresa per la guida del Pirellone, l’ex governatore non ha mai spiegato l’abbandono dell’ultima ora, restando distinto, o forse distante, dal salvinismo e da questa Lega. Mistero rimosso.

Un parcheggio laterale e non di traverso, per una figura storica del movimento: il volto istituzionale del leghismo ruspante (per quanto non abbia lasciato tracce memorabili alla guida della Regione), uomo di cerniera e di frontiera.

Comunque lo si voglia valutare, il ritorno in campo di Bobo segnala la debolezza di Salvini, un po’ con la ruspa e un po’ influencer, ormai un disco rotto. L’onda dei migranti che si vorrebbe biblica non lo sorregge più come un tempo, quel che era dirompente sta diventando usurato, il lessico contundente sui social è saturo. Salvini potrà avere qualche soddisfazione dalle Regionali, ma adesso va più di moda la Meloni. La flat tax, con la gente che deve portare a casa la pagnotta, è trapassato remoto. Il Covid ha spiazzato anche i vincenti di ieri. Per sapere come andrà a finire, affidiamoci alla rubrica giornalistica di Maroni che chiude così: «stay tuned», restate sintonizzati.

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