Lega, il ritorno
morbido di Maroni
Può essere letta, nel gioco di sponda con la vecchia guardia, come il ripristino di un esplicito confronto interno fra le due anime del movimento, ora che la stella salviniana, causa Papeete, non brilla come un anno fa: cioè fra l’ala del «sindacato di territorio», attraverso un bossismo rivisto e corretto, e quella nazionalpopulista.
L’una sorregge l’altra senza rompere il fragile equilibrio, almeno fino a quando non sarà definito l’incasso elettorale della traiettoria dell’attuale leader. Maroni, annunciandosi, ha riproposto le parole d’ordine della Lega di Bossi senza Bossi: battaglia per il Nord (ora che la questione settentrionale riprende quota), autonomia e federalismo. Oltre al ridisegno di un’area moderata, vagamente centrista, per intercettare gli elettori di Renzi e di Calenda, descritta da un leghista sempre attento alle ragioni del berlusconismo. In più, fatto non trascurabile, c’è l’omaggio ecumenico a Bossi e allo stesso Salvini. Il primo è scontato e reiterato, del resto Bobo – con la giornata dell’orgoglio padano proprio a Bergamo nel 2012, la serata della ramazza per fare pulizia del cerchio magico bossiano travolto dall’inchiesta giudiziaria – ha dovuto gestire con riuscito equilibrio la guida del partito nei «giorni di passione», il periodo più buio.
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