L’Europa chiude
al gas russo

Si sta avvicinando una nuova tempesta nei rapporti tra i due «polmoni» del Vecchio continente, come Papa Giovanni Paolo II definiva i due Poli d’Europa? La speranza è l’ultima a morire, ma la protesta popolare contro l’autocrate Lukashenko in Bielorussia e la vicenda dell’avvelenamento dell’oppositore del Cremlino, Aleksei Navalny, sono argomenti di duro scontro. Attualmente sui rapporti internazionali si addensano tali nuvoloni da temere un nuovo 2014, quando la crisi ucraina - con l’«annessione» della Crimea e lo scoppio della guerra in Donbass - provocò una frattura non ancora sanata. E come al solito ad Est, l’Occidente ha al momento la necessità di definire il corretto equilibrio tra la necessità di stabilità geostrategica complessiva e la difesa dei diritti. Un vero mal di pancia con bocconi amari da inghiottire. Ma questa è la realtà.

La Bielorussia è troppo dentro al «cortile interno» del Cremlino, nello spazio vitale ex sovietico, per poter intervenire anche solo politicamente. Premesso che sono davvero pochi i giovani europei disposti a perdere la vita per la vittoria della democrazia a Minsk va preso atto che, per evitare una nuova Budapest 1956 o Praga 1968, i bielorussi devono sbrigarsela da soli. Semmai in un secondo momento potranno essere accordati loro aiuti economici.

Diverso è, invece, il discorso sulla vicenda Navalny. Da anni girano un po’ troppe sostanze tossiche ed è venuto il momento – questa appare adesso la volontà delle cancellerie occidentali – di provvedere. Come?

Il modo più convincente è sempre quello di colpire il portafoglio.

Di mezzo sta così per finirci il divisivo raddoppio del gasdotto Nord Stream 2 – dalla Russia alla Germania sotto al Baltico – progetto già oggetto di sanzioni americane e contestato anche dall’Italia. Con la nuova pipeline la filo-occidentale Ucraina, per decenni usuale via di approvvigionamento dell’Ue verso Sud, rischia di venire ridimensionata geopoliticamente. L’Eni, a suo tempo, dovette rinunciare ad un progetto gemello, ma sotto al mar Nero verso il Belpaese.

Dopo essere stata oggetto di attenzione da parte degli hacker russi, la cancelliera tedesca Merkel sembra aver così deciso ora di portare la questione della condotta baltica in ambito europeo. La scelta, è l’intenzione di Berlino, deve essere fatta dai Ventisette insieme per mostrare all’esterno l’unità dell’Unione europea. Qui i diritti possono essere meglio difesi anche ad altissimi costi finanziari.

La cosa non è di poco conto: finora l’Ue ha accettato di non diversificare troppo le fonti di approvvigionamento e di mantenere la dipendenza energetica dalla Russia per dare a Mosca l’opportunità di avere introiti per sostenere la sua economia. È stato in pratica una specie di «piano Marshall» camuffato per non offendere la suscettibilità di alcun partner. L’obiettivo era quello di non indebolire troppo Vladimir Putin, che è anche uno dei principali garanti della stabilità geostrategica continentale.

Adesso, però, si è superato il segno ed occorre trovare le contromisure, pensa la Merkel. Il messaggio spedito verso Est è che è venuto il momento di darsi una calmata. Aprire di più alle forniture energetiche provenienti dagli Stati Uniti, stracolmi di petrolio e gas di produzione shale (dalle argille), non è uno scenario remoto.

L’Europa potrebbe trovarsi pertanto nella posizione di poter fare affari con chi ha più piacere anche a costo di rimetterci qualcosa, comprando a maggiore prezzo. Una tale situazione sarebbe pericolosa per le finanze russe, eccessivamente dipendenti dai proventi energetici. Putin è avvertito.

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