L’Europa in declino, i passaggi mancati

MONDO. Lo storico inglese (naturalizzato italiano) Stuart Woolf ha sottolineato che alla fine dell’Ottocento cominciò a declinare la supremazia mondiale dell’Europa, la quale «sembrava aver raggiunto il culmine della sua dominazione del mondo e gli europei ne avevano piena coscienza».

Tale opinione può valere anche per l’Italia, nella quale all’epoca vi fu un progresso economico senza precedenti e si avviarono mutamenti sociali che scardinarono i precedenti equilibri con l’avanzare di uno Stato «pluriclasse». Tra la fine del secolo XIX e la metà del Novecento si andò sgretolando via via il colonialismo, che era divenuto il segnale più significativo del predominio degli Stati europei. Si pensi soltanto all’estensione (politica, prima ancora che geografica) del Regno Unito, progressivamente erosa dalla spinta dei Paesi colonizzati ad affrancarsi dal dominio inglese. Esemplare, al riguardo, l’emancipazione dell’India avvenuta sotto la guida di Gandhi. Analogamente può dirsi per quanto avvenne nell’Africa, da secoli sottomessa ai Paesi europei più forti economicamente e militarmente.

Usa, Cina e Russia

Dopo poco più di un secolo si deve prendere atto che la situazione mondiale si è sostanzialmente ribaltata, ridisegnando lo scenario politico mondiale. L’inizio della svolta può collocarsi tra le due Guerre mondiali. La crisi economica del 1929 - che portò all’impoverimento dell’intero Occidente - fu affrontata negli Usa con il New Deal (segnale di un nuovo orizzonte economico e sociale), mentre in Europa coincise con l’avvento delle dittature. L’avvenuta centralità degli Stati Uniti divenne chiara nel Secondo dopoguerra, che trovò un suo sbocco sul piano della difesa con l’istituzione della Nato. Nel frattempo nel Vecchio continente alcuni statisti illuminati portarono alla nascita della Comunità economica europea e al suo successivo allargamento con la creazione dell’Ue. Era quella la strada da percorrere, ma gli sviluppi non furono sempre lungimiranti. In primo luogo, l’unificazione riguardò gli aspetti commerciali ed economici (si pensi al libero scambio delle merci e all’euro), ma fu molto disattenta a favorire l’integrazione sulla difesa e su altri settori relativi ai diritti dei cittadini. Nel contempo, l’allargamento ai Paesi storicamente vicini all’Urss ha ingenerato notevoli difficoltà nell’azione politica dell’Unione europea. Con ciò dando voce e rilevanza agli attacchi contro gli organismi istituzionali, dipinti - per desolante vocazione nazionalistica - come inutili e dispendiosi. Lo scarso peso dell’Europa nel mutato scacchiere mondiale è emerso con particolare evidenza, negli ultimi decenni, nelle crisi internazionali a livello mondiale (una per tutte la perdurante e tragica guerra tra Israele e Palestina). Ormai tali avvenimenti sono sotto l’egida degli Usa, della Cina e (in parte) della Russia. In materia, l’Europa riesce soltanto a limitarsi a formulare propositi e a suggerire possibili intese. In questo contesto il secondo mandato di Donald Trump alla presidenza degli Usa è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Le convinzioni di Trump

Nei suoi gesti, sempre scomposti e sovente sguaiati e offensivi, Trump ha fatto capire che gli Stati Uniti sono la maggiore potenza mondiale sotto il profilo economico, militarmente senza concorrenti all’altezza. Con tali convinzioni Trump si rivolge all’Europa come il ricco che dà comandi al maggiordomo e, se è il caso, lo punisce. Tutto il resto appartiene alla sceneggiatura da film western, all’arroganza da bettola, al godimento di essere il più forte. Nei confronti dell’imposizione di fatto dei dazi doganali, il Governo italiano si è mantenuto in una posizione debole e rinunciataria. Segno di una sostanziale sudditanza nei confronti degli Stati Uniti. La triste conclusione sembra essere soltanto una: mentre le 50 stelle degli Usa dettano le condizioni, le stelle europee – come nel titolo del romanzo di Archibald Cronin - «stanno a guardare».

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