L’Europa fa rifiatare
I precari conti italiani

Nessuno sa come l’Europa uscirà dalla pandemia del coronavirus. Nel frattempo la Ue si muove in maniera scomposta: un giorno dà un colpo formidabile al Paese più in difficoltà attraverso una scellerata frase sullo spread della presidente della Bce Christine Lagarde (aveva ragione chi diceva che era inadeguata per diventare il successore di Mario Draghi) e il giorno dopo fa sapere con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyn che «all’Italia sarà concesso tutto ciò che chiederà». La Borsa, precipitata nella prima

giornata, ha recuperato quasi tutto all’indomani. Ma nel mezzo c’è stato un furibondo scontro tra Roma e Francoforte con gli interventi, in serie, di Mattarella, Conte e Gualtieri contro «gli ostacoli posti dall’Unione all’Italia al posto della solidarietà», per usare le parole del Capo dello Stato. Sbugiardata e costretta al dietro-front la Lagarde, rimangono le inedite aperture della presidente di Palais Berlaymont. Che sono positive sia per gli europeisti (Gentiloni, Sassoli, Zingaretti, Gualtieri e ovviamente Mattarella e Conte) sia per gli euroscettici (molti M5S) sia per i sovranisti come Salvini e Meloni. Perché Ursula ha preannunciato che il famigerato Patto di stabilità verrà nei fatti, se non di diritto, sospeso: utilizzando la clausola della «crisi generale», i vincoli di bilancio non verranno fatti rispettare e nemmeno il divieto degli aiuti di Stato. Questa, a prescindere dalla collocazione politica, è una dolce canzone per tutti i politici italiani che hanno dovuto per anni pagare il prezzo dell’enorme debito pubblico mantenendo uno striminzito rapporto deficit-Pil che, minimizzando gli investimenti pubblici, ha gelato la crescita della nostra economia. Ora tutto questo potrebbe saltare, almeno per tutta l’emergenza della pandemia. Ma, appunto, siccome nessuno sa come l’Europa uscirà da questo disastro sanitario, non è detto che, alla fine del tunnel, non convenga ad un continente in recessione chissà quanto profonda mantenere il quasi «liberi tutti» pronunciato dalla von der Leyen e dalla vicepresidente Vestager e, sia pure a denti stretti, dall’altro vicepresidente Domvbroskis che rappresenta il «partito dei falchi» quando serve usato da Berlino come randello.

Dunque Conte e i suoi ministri si apprestano, con le misure economiche varate dall’ultimo Consiglio dei ministri, a toccare il limite del 3% del rapporto deficit-Pil se non a superarlo. Si tratta di 25 miliardi, tanto per noi ma niente se messo a confronto con i 550 miliardi promessi dalla Cancelliera Merkel ai tedeschi per sostenere l’economia durante l’emergenza. E forse quest’ultimo particolare fa capire ancor meglio le parole della von der Leyen, che è pur sempre una ex ministra della Cancelliera.

Mentre l’ottusa chiusura della Lagarde ha dato fiato a Salvini e Meloni nella polemica con Bruxelles, viceversa le prospettive di allargamento dei cordoni della borsa ha loro tolto un’arma polemica. Tuttavia si aspetta la riunione di lunedì prossimo quando all’ordine del giorno dell’Eurogruppo ci sarà il voto sulla riforma del Mes (il fondo salva Stati) che Salvini e Di Maio contestano (anche se è stata discussa durante il loro governo) perché mette altre catene agli Stati e danneggerebbe l’Italia. Certo, sarebbe bizzarro mantenere la votazione con tutto quello che sta accadendo, in plateale contraddizione con l’orientamento emergenziale della Commissione. Se i più rigoristi dovessero insistere nel chiedere il rispetto dell’ordine del giorno, Conte e Gualtieri potrebbero mettere il veto, visto che la decisione deve essere presa all’unanimità, ma questo avrebbe delle ripercussioni non positive per noi. Se però votassero a favore del «nuovo» Mes costruito su misura per i Paesi del Nord a posto con i conti, sarebbero accusati in patria dall’opposizione come minimo di antipatriottismo.

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