L’Europa vecchia ha pochi medici

Attualità. Succede di dover prenotare una visita specialistica, di chiedere un appuntamento in una struttura pubblica e di vedersi proiettati a luglio 2023. Sei mesi di attesa. Un evento che è diventato quasi regola e che viene sopportato con rassegnazione.

In verità, se richiesti, i cittadini sono mediamente contenti dell’assistenza medica, soprattutto in emergenza, che ottengono e del trattamento loro riservato nei luoghi di cura. Il problema delle liste di attesa è però presente a tutti, quando si è costretti a ricorrere al privato. La spesa per la sanità privata è di circa 40 miliardi e grava sui bilanci familiari. In Italia ci sono 3,9 medici per 1.000 abitanti, in Europa la media è di 3,8. Quindi in teoria con i numeri ci saremmo. Ma dal rapporto Crea appena pubblicato emerge la mancanza di almeno 30mila laureati in medicina e 250mila infermieri. Come mai? Il punto debole è la struttura demografica. Se la quota di popolazione anziana cresce e quella dei giovani diminuisce sale l’indice di vulnerabilità e quindi di necessità di assistenza. È il destino verso il quale è proiettata l’Europa.

Nel 2023, per la prima volta, in Germania andranno in pensione più persone di quante raggiungono la maggiore età. La repubblica degli anziani è una realtà. In Italia a livello nazionale i pensionati sono a quota 22 milioni e 759mila e superano se pur di poco gli addetti alla produzione, autonomi, occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi, che sono 22 milioni e 554mila addetti. La popolazione residente in Italia è meno di 60 milioni ed è diminuita nel 2021 di oltre 253mila unità (-0,4%). Dal dicembre 2014 è il settimo anno consecutivo di diminuzione. Se cala il numero degli occupati rispetto alla popolazione inattiva o in quiescenza, decrescono anche le contribuzioni e l’introito delle casse dello Stato si riduce. Da qui l’obbligo per i governi di qualsiasi colore di rilanciare la crescita economica del Paese. Solo con un aumento della produttività per effetto di nuovi investimenti in innovazione tecnologica è possibile compensare in parte il calo degli addetti. Ed è il motivo per il quale l’Unione europea ha convenuto di porre in essere il programma «Next Generation Eu», un pacchetto da 750 miliardi attivato con risorse proprie e quindi garantito sul mercato da tutti gli Stati europei aderenti, Germania in primis.

Ma le politiche demografiche sono di competenza degli Stati nazionali. Ed è quindi strategico utilizzare fondi pubblici per incentivare la formazione delle famiglie ovvero creare le basi affinché il vivere con il proprio partner vada in più in là del piacere di stare assieme. Perché questo accada occorre che la scelta di diventare genitori sia garantita da una rete di servizi a sostegno della maternità. Incentivi finanziari, certo, ma poi nidi per l’infanzia, asili e scuole a tempo pieno, luoghi dove il bambino è accudito e si abitua a vivere in comunità senza perdere il calore della famiglia. Ed è qui la vera sfida perché il calo della popolazione attiva può essere compensato nel breve e medio termine dall’impegno lavorativo della donna. L’emancipazione della donna avviene nella possibilità di esercitare il ruolo di madre senza dover rinunciare al lavoro e alla professione. È dallo sviluppo compiuto della maternità che nei secoli si è misurata la saggezza di una comunità. La vita è un intercalare fra giovinezza e invecchiamento. Mantenere la continuità fra i due poli è essenziale per la sopravvivenza delle società. È da qui che occorre ripartire per ridare vigore al Paese.

Rilanciare la vita economica è il presupposto essenziale per disporre dei 30 miliardi necessari per assumere i medici mancanti. Pare paradossale ma se si vuole aiutare gli anziani occorre partire dai giovani.

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