L’ex premier è passato
da punto di equilibrio
a motivo di impaccio

Tocca a Sergio Mattarella cercare di sbrogliare la matassa della crisi. Il nome di Giuseppe Conte come possibile successore di se stesso è ancora sul tavolo ma le difficoltà per lui stanno aumentando. Sia il Pd che il M5S indicano il suo nome come unico ma basta guardare un poco nelle retrovie dei due partiti per capire che tale dichiarazione è tutt’altro che indiscutibile. E per una ragione molto semplice: essendo fallita l’operazione «responsabili» – nel senso che non ci sono al momento i voti sufficienti per sostituire quelli di Renzi e non c’è nemmeno uno straccio di identità politica dei gruppuscoli che si stanno formando tra Camera e Senato – occorre guardare fuori delle mura per cercare di mettere in piedi un governo. Primo interlocutore: Renzi. Finora tutti, da Conte a Zingaretti a Di Maio hanno ripetuto in coro: con Matteo mai più, la crisi è colpa sua, è inaffidabile. Bene, questa rocciosa pregiudiziale nelle ultime ore si è visibilmente ammorbidita.

«Mai dire mai» continua ad ammonire quella vecchia volpe di Pier Ferdinando Casini. Ma Renzi, per sedersi al tavolo, porrebbe una condizione immediata: prima va fuori Conte e poi parliamo di poltrone e di programma. La domanda che serpeggia nel M5S (sempre più simile a un alveare impazzito dal pericolo elezioni) è: perché dobbiamo sacrificarci per Conte e la sua voglia di restare a palazzo Chigi? Non molto diverso è ciò che si sussurra nel Pd, soprattutto tra quanti non hanno mai sopportato il presenzialismo e l’opportunismo di Conte. Già, perché rinunciare a formare un governo solo per far piacere all’avvocato? Sarebbe interessante sapere cosa davvero pensa in cuor suo Zingaretti che le critiche a Conte le ha sempre condivise.

Non si vuole Renzi? Bene, l’unica alternativa è Berlusconi. Il quale è disponibile a un governo di salvezza nazionale con dentro tutti. Tutti tutti? Il Cavaliere sa benissimo che i suoi due alleati (più la Meloni che Salvini, in realtà) non ne vogliono neanche sentir parlare di un tale accordo omnibus. E dunque molti sospettano che Forza Italia mediti sul serio di entrare a far parte di quella che diventerebbe una «maggioranza Ursula», dal nome di Ursula Von der Leyen e dei partiti italiani che a Bruxelles l’hanno votata come presidente della Commissione. Che sono giustappunto: Pd, M5S, Forza Italia e centristi vari. Il problema è che anche Berlusconi vuole che Conte faccia prima le valigie. Riassumendo: per allargare la maggioranza è indispensabile chiedere l’aiuto o di Berlusconi o di Renzi. Entrambi non vogliono Conte. In fondo Mattarella potrebbe tirar fuori dal cilindro un nome prestigioso (l’ex presidente della Consulta Marta Cartabia, che è pure donna, o il governatore di Bankitalia Visco o addirittura Mario Draghi) e cercare di comporre intorno a quello una maggioranza più larga dell’attuale magari con dentro sia Renzi che Berlusconi: sarebbe perfetto per l’Europa, per i mercati, per tutti. E oltretutto anticiperebbe la maggioranza necessaria ad eleggere il nuovo capo dello Stato alla scadenza di Mattarella l’anno prossimo. E i grillini? Il Movimento Cinque Stelle, per quanto ormai frantumato, è pur sempre il partito di maggioranza relativa in questo Parlamento, ma dovrebbe trangugiare non solo il riabbraccio con Renzi e persino con Silvio Berlusconi, quello che un tempo per loro era il simbolo del potere corrotto. Sarebbe molto dura, ma non tanto dura quanto affrontare nuove elezioni con la certezza matematica di rimanere a casa e, alla mezzanotte di un brutto giorno, di veder svanire, novelle cenerentole, carrozze, cavalli e palafrenieri.

Ecco dunque perché la strada diventa in salita per il presidente dimissionario: improvvisamente, da che era un punto di equilibrio per tutti, potrebbe trasformarsi in un impaccio.

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