Libia, passi avanti
Lezione per noi

Con grande fatica l’Europa ha cominciato da Berlino la grande rincorsa alla Libia. Ci sono volute l’autorevolezza e il pragmatismo di Angela Merkel, oltre alla coscienza di aver sprecato molte e molte occasioni, per spingere i Paesi dell’Unione Europea più esposti sul Mediterraneo a tentare un ultimo colpo di reni. I risultati non sono mancati: il cessate il fuoco, l’embargo all’ingresso di nuove armi e il monitoraggio dell’una e dell’altra cosa sono notizie da accogliere con favore. Qualcosa si muove, finalmente. Però non dobbiamo nasconderci la realtà.

L’impotenza delle Nazioni Unite, l’irresolutezza dell’Europa, i trucchetti di qualche Paese (per esempio la Francia, più ricca di ambizione che di intelligenza strategica) e la debolezza di altri (per esempio l’Italia, che non ha la decisione e nemmeno la cultura per tuffarsi in prima persona in crisi come questa) hanno consentito alla situazione sul campo di degenerare e a protagonisti indesiderati di inserirsi fin quasi a farla da padroni. Mentre al governo tripolino di Al Sarraj, l’unico legittimo secondo la comunità internazionale, venivano fornite solo caterve di parole, il generale golpista Haftar prendeva il controllo di gran parte della Libia, fino a minacciare le esportazioni di petrolio da cui dipende la sopravvivenza del Paese.

E mentre tutto questo avveniva, la Russia metteva i proverbiali scarponi sul terreno, sotto forma dei mercenari della Wagner, a fianco di Haftar, e la Turchia schierava i suoi mercenari, gli islamisti formati da Al Qaeda, dalla parte di Al Sarraj. Putin ed Erdogan erano a Berlino, concordi con la Merkel. Ma sarebbe molto molto ingenuo pensare che molleranno l’osso solo in omaggio ai tardivi sussulti della Ue e dell’Onu. Tanto più che ormai si sono formate due vere coalizioni. Con Haftar l’Egitto, la Russia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita (che fa da longa manus degli Usa) e, fino a che non si è accorta di essere stata scavalcata, la Francia dell’astutissimo Macron. Con Al Sarraj la Turchia, il Qatar e l’Algeria. Al Sarraj, di fronte al borbottio europeo, l’ha spiegato chiaramente: dov’eravate voi quando l’aviazione di Haftar bombardava i miei uomini? Adesso l’Europa ci prova, finalmente. La durata della tregua, in gran parte affidata alla buona volontà degli eserciti schierati sul terreno, ci dirà con quanta autorevolezza.

Nel quadro complessivo spicca, inevitabilmente, il ruolo dell’Italia. Nessun Paese è coinvolto quanto il nostro nella crisi libica, per ragioni vecchie (il colonialismo) e nuove (i flussi migratori). Nessun Paese può temere più del nostro l’insediamento sulla sponda Sud del Mediterraneo di milizie islamiste qaediste come quelle che Erdogan sta mandando a Tripoli per guardare le spalle ad Al Sarraj e garantire che il suo governo mantenga i patti su gas e petrolio da poco siglati con la Turchia. Per lungo tempo l’Italia ha fedelmente appoggiato Al Sarraj mentre cercava un’investitura internazionale da «capo missione» che le è sempre stata negata. Una posizione scomodissima, anche perché l’Italia non poteva né voleva prendere iniziative unilaterali, far finta di essere una Turchia o una Russia in sedicesimo. L’abbiamo pagata cara, investiti dal problema delle migrazioni e nello stesso tempo responsabili della debolezza di Al Sarraj (succube di trafficanti di uomini e di barconi) e impossibilitati a intervenire su Haftar (che lucra sull’ingresso in Libia dei migranti che arrivano dall’Africa subsahariana).

Con il summit di Berlino, inutile negarlo, l’Italia è in qualche modo rientrata nei ranghi. Ridimensioniamo le ambizioni, riduciamo i rischi. Dobbiamo sperare che le iniziative dell’Unione Europea producano i frutti sperati, che la tregua duri, che il processo politico venga avviato, che la Libia riesca dotarsi di un governo unitario e capace di stabilizzare il Paese. La speranza è l’ultima a morire ma non sempre è la prima a realizzarsi. Vedremo.

D’altra parte era inevitabile. Da lungo tempo l’Italia non ha una seria politica per la sponda Sud del Mediterraneo e i pochi tentativi in questo senso (si veda per esempio il governo Gentiloni) sono stati sepolti dalle polemiche. E l’Europa è dai tempi dell’Unione Mediterranea di Nicolas Sarkozy (2008) che non riesce a uscire dal mito nordico che paralizza le sue iniziative verso Sud. Speriamo che la lezione libica ci aiuti a riflettere e a cambiare.

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