Bruni, l’impegno civile
uno stile di vita

Sulla figura di Roberto Bruni, nelle prossime ore, verranno spesi – giustamente e doverosamente – fiumi di parole, dando fondo (qui in primis) a tutte le forme note e meno note della retorica. Eppure - sebbene lui stesso ne abbia fatto abbondante uso nelle aule di tribunale, dov’era «principe» indiscusso - non ne servirebbero molte per tratteggiarne il profilo.

Basterebbe soffermarsi sulla fotografia che pubblichiamo sotto il titolo di pagina 3 de L’Eco di Bergamo di mercoledì 11 settembre: quello scatto, di Roberto Bruni, dice tutto. È il tardo pomeriggio del 17 dicembre 2005, nell’Aula consiliare di Palazzo Frizzoni, il sindaco consegna quattro medaglie d’oro e dieci attestati ai cittadini benemeriti della città. Tra le medaglie d’oro, meritatissima, c’è anche quella per suo padre, Eugenio Bruni, monumento dell’antifascismo bergamasco, scelta che portò alle dimissioni di un consigliere comunale dell’opposizione, che ne contestava l’opportunità politica. Storia passata, oggi materiale per archivisti, ma quell’immagine conserva e riassume, in maniera nitida, la storia umana di Roberto Bruni e il suo vissuto, dentro e fuori la propria famiglia, dentro e fuori i palazzi di giustizia, dentro e fuori le stanze della politica.

Quello sguardo commosso, che a stento trattiene le lacrime, quell’uomo che sorregge il padre, ma che finisce per esserne sorretto, quella pergamena arrotolata che pare un testimone pronto a passare da una mano all’altra, non disegnano soltanto un indissolubile vincolo familiare, ma lo stile e il carattere di un uomo che ha amato la sua città come i suoi affetti più cari, che l’ha servita e l’ha «sorretta» con la stessa intelligenza e con la stessa generosità con cui disinteressatamente si aiuta chi si ama, sulla scia di una tradizione familiare che ha fatto della libertà, della democrazia e della giustizia il proprio vessillo. Da sventolare e da difendere. Una giustizia serenamente invocata anche nei dibattimenti davanti alla Corte, qualunque fosse il reato, chiunque fosse l’indiziato, in virtù di una ispirazione garantista che richiedeva, sempre, un giusto processo.

Si possono dare molte definizioni di Roberto Bruni, ma una in particolare troverà tutti d’accordo, ed è quella di galantuomo, un uomo onesto e leale, nei principi e nei comportamenti, con sé stesso prima ancora che con gli altri. La tolleranza, la moderazione, il rispetto dell’altro, il senso profondo dell’impegno civile erano valori fondamentali per lui, saldamente legati ad una laicità convinta, sincera, una sorta di «religione» che tuttavia non trovava ostacoli o pregiudizi nel «fondersi» con i valori cristiani quando interagiva con il prossimo. I suoi occhi chiari, luminosi, profondi, a volte tristi, restituivano l’immagine di un uomo inquieto nella sua ricerca spirituale, ma sempre rispettoso dell’ispirazione cristiana che alimenta il cuore di molti e senza precluderne l’esistenza.

La naturalezza che dimostrava in pubblico, la raffinata intelligenza e la sottile ironia con cui tesseva i suoi interventi non bastavano a celarne il carattere schivo e riservato, a tratti timido, che, soprattutto in politica, ne facevano una figura anomala, non convenzionale, scevra dai quei luoghi comuni che spesso nascondono la pochezza di chi ne fa uso. Era un mite, Roberto Bruni, ma su alcuni valori legati alla sua idea di democrazia, di civiltà e di giustizia diventava intransigente, persino radicale, a conferma della propria solidità morale. Con alle spalle una tradizione liberale così forte e profonda come quella trasmessagli dal nonno Luigi (medaglia d’argento durante la Prima Guerra mondiale) e dal padre Eugenio (internato dai fascisti nel campo di concentramento di Dachau, in Germania), per Bruni l’impegno civile era la cifra quotidiana che dava forza al suo essere uomo, avvocato e amministratore. Era la connotazione naturale che ne faceva un politico non ideologico, nel senso deteriore del termine, ma che gli consentiva di manifestare lealmente e apertamente il suo modo di essere.

È banale, scontato e retorico, dirlo, ma questo suo modo di essere ci mancherà. Mancherà agli uomini liberi e agli uomini di pensiero, ma mancherà soprattutto alla città di Bergamo, che mai come oggi ha bisogno di personalità come la sua: intelligente e lungimirante, che sapeva trarre dall’umiltà più nobile la forza più vera per arricchire una comunità.

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