L’incubo quotidiano dei treni in Lombardia

ITALIA. La cosa davvero sconcertante è che non ci sarebbe notizia. Perché quando il pendolare medio accumula minuti di ritardo ogni santo giorno è abbastanza chiaro che questa è la regola e non l’eccezione.

Poi per carità ci si può attaccare a quella che si potrebbe chiamare diversificazione delle responsabilità, spaziando dai problemi sulla rete (leggi binari, quindi competenza di Rfi, ovvero gruppo Ferrovie) a quelli del materiale rotabile ascrivibili a Trenord e quindi equamente spalmabili tra Regione e Stato, ma il risultato non cambierebbe. Alla fine per i pendolari muoversi è un incubo quotidiano: ad aprile fanno 13 anni di Trenord e il bilancio non è assolutamente all’altezza delle aspettative di una realtà come la Lombardia. Vero che la Regione ha investito più di 2 miliardi di euro nella progressiva (e in atto) sostituzione dei treni, ma è di tutta evidenza che i livelli medi del servizio sono ancora ben sotto l’accettabile.

Premessa, la situazione da risolvere è più di sistema che politica, perché se è vero che il centrodestra ha continuato con una certa qual ostinazione (legittima) sulla strada del gestore regionale, le proposte delle opposizioni non sono sembrate di quelle in grado di migliorare davvero le cose. L’apertura al mercato e la messa in gara ha oggettivamente dei limiti, non sul versante della difesa di un brand e di un patrimonio regionale, come talvolta si sente dire, bensì da quello strategico ed economico. La messa a bando di qualche linea secondaria può essere un interessante esperimento per vedere se qualche player europeo sia davvero interessato, ma con il massimo rispetto per la Brescia-Piadena il problema sono gli altri 1.700 km , soprattutto quelli dove insistono i treni dei pendolari: per la cronaca metà sono a binario unico, e questo spiega molto. Qui, in Lombardia, uno dei motori d’Europa.

È illusorio pensare che un colosso tipo Db o Sncf possa scendere sui binari e gestire il servizio regionale: sorvolando sull’evidente differenza tariffaria (tema molto articolato e non legato solo ai livelli medi retributivi), anche per il fatto che la rete resterebbe in mano a Rfi e questo complicherebbe tutto. Situazione, va detto, speculare a quella dei rispettivi Paesi d’appartenenza, dove non viene steso il tappeto rosso. Anzi. Quindi la soluzione va trovata all’interno e ce ne sono due possibili: la prima è fare come le altre 19 regioni e mettersi nelle mani di Trenitalia, se non fosse che Palazzo Lombardia ha appena deciso per il rinnovo decennale a Trenord. E allora si passa alla seconda fattispecie, ovvero la fine di quel regime paritetico tra Regione e Stato che sembra fatto apposta per sviare dalle responsabilità e scaricarle sulla controparte. Governo regionale e nazionale sono dello stesso colore e al ministero di riferimento c’è pure un fautore del federalismo come Matteo Salvini: la strada non è in discesa ma sarebbe il caso di cominciare a percorrerla con una certa decisione se davvero convinti. Resterebbe comunque il problema del rapporto con Rfi che ha in mano i binari, ma anche in questo caso il medesimo fronte politico dovrebbe aiutare, o comunque far venire meno qualche alibi di maniera.

Fermo restando che stiamo comunque parlando di un servizio regionale, quindi tra le sue principali caratteristiche non c’è la velocità, semmai la capillarità e la frequenza. I paragoni con l’alta velocità vanno bene per la superficialità dei social, ma oggettivamente se in una qualsivoglia tratta ci sono tot fermate sono altri i parametri sui quali agire. Da Bergamo a Milano ci passano poco più di 50 km, lavorando anche sul collegamento diretto con la linea da e per Venezia (il celeberrimo «salto di montone») si potrà sì risparmiare qualche utile minuto ma mai acquistare una velocità tale da ridurre drasticamente i tempi. Ma per un pendolare sarebbe già un successo sapere che quelli promessi sono certi, e oggi non succede. E non succederà nemmeno domani né dopodomani.

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