L’incuria del clima
Vittime ed azioni

Da almeno vent’anni l’Italia sta combattendo una guerra, con molte vittime. Dal 1999 al 2018 infatti il nostro Paese ha registrato 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi (bombe d’acqua, uragani, mareggiate, frane, alluvioni, allagamenti, tracimazioni, smottamenti, slavine e quant’altro). Tutti eventi causati dal surriscaldamento della Terra. È quanto risulta dal cosiddetto «indice di rischio climatico» di Germanwatch, prestigiosa organizzazione non governativa tedesca che cerca di influenzare attraverso studi e ricerche le politiche pubbliche in materia di commercio e ambiente.

Questo «conflitto ambientale» vissuto dall’Italia è stato devastante anche in termini economici: le perdite quantificate ammontano a 32,92 miliardi di dollari. Solo lo scorso anno gli eventi estremi hanno causato 51 decessi e 4,18 miliardi di dollari di danni. I dati sono stati pubblicati proprio mentre a Madrid si stanno svolgendo i lavori di Cop25, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (cui è stata invitata a parlare anche la giovane paladina dell’ambiente Greta Thumberg). Le cifre da bollettino di guerra dovrebbero rafforzare, semmai ce ne fosse bisogno, le nostre convinzioni sull’urgenza di lottare contro il riscaldamento globale e l’emissione di Co2 in tutto il Pianeta. Non c’è più tempo.

Anzi, il tempo è finito da un pezzo. Non si tratta di velleità ambientaliste ma di una questione sociale che riguarda tutti, su cui da tempo si è pronunciato anche il magistero di Papa Francesco a partire dall’enciclica «Laudato si’».

Lo stesso segretario dell’Onu Antonio Guterres ha invitato i rappresentanti dei 196 Paesi partecipanti ad agire per non passare come «la generazione che ha messo la testa sotto la sabbia, che si gingillava mentre il pianeta bruciava», ricordando recenti studi scientifici secondo cui i gas serra hanno raggiunto livelli record avvertendo che non c’è altro tempo da perdere. Se non si agisce subito abbandonando il carbone, ha ammonito, «tutti i nostri sforzi per combattere i cambiamenti climatici sono destinati a fallire». La scelta, ha detto, «è tra speranza e capitolazione».

L’Unione europea è sicuramente in prima linea in questa guerra a bassa intensità, ma micidiale, come abbiamo visto. Una terza guerra mondiale, perché i «grandi inquinatori» sono oltreoceano ai due estremi del Pianeta: Cina e Stati Uniti. Proprio nel suo discorso inaugurale la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato il suo «Green Deal», che rimanda al «New Deal» di Frankling Delano Roosvelt, il patto lanciato per risollevare l’America dalla crisi del ’29.

L’obiettivo comunitario è quello di essere il primo continente neutro dal punto di vista climatico entro il 2050. L’addio al carbone con il taglio dei gas serra sarà uno dei temi di negoziazione durante le due settimane di lavori di Madrid (fino al 13 dicembre) in cui si cercherà di definire le regole per rendere operativo l’Accordo di Parigi (che fissa i limiti del riscaldamento globale non oltre i due gradi centigradi).

I cambiamenti climatici sono anche alla base delle grandi migrazioni. La ong Oxfam ha affermato che oltre 20 milioni di persone all’anno sono costrette nei Paesi più poveri ad abbandonare le proprie case a causa di catastrofi provocate dal riscaldamento globale e che i cambiamenti climatici sono la prima causa al mondo di migrazioni forzate interne, incidendo tre volte di più dei conflitti. «Oggi, per fortuna, soltanto una manciata di fanatici nega l’evidenza» ha detto il premier ad interim spagnolo, Pedro Sanchez. Ma non sarà per niente facile «de carbonizzare» il Pianeta. Anche se il «Green New deal», ovvero la riconversione dell’industria in termini di sostenibilità ambientale, ci converrebbe anche economicamente.

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