L’odio razziale
non resti impunito

L’ultimo episodio accaduto è in un certo senso il più emblematico. A Mondovì è comparsa sulla porta di una casa quella scritta che pensavamo fosse relegata ai più cupi capitoli della storia: «Juden hier» con tanto di stella di Davide. È comparsa sulla porta di Aldo Rolfi, figlio di una partigiana Lidia Beccaria, deportata politica nel campo di concentramento di Ravensbrück, morta nel 1996. Il motivo di quel gesto dal sapore terrificante sarebbe il fatto che Aldo Rolfi ha voluto ricordare la madre con un articolo in cui ha sostenuto che «insieme alla memoria, cresce l’antisemitismo». L’episodio è emblematico per più di un motivo.

Innanzitutto ci dice come l’antisemitismo si nutra di una radicale ignoranza: la famiglia Rolfi non è infatti di origine ebraica. È quindi un sentimento violento e sommario che si nutre di un odio a 360 gradi. Un odio che annulla la capacità di discernere e ragionare. Aldo Rolfi nel suo articolo sottolineava inoltre un paradosso reale al quale stiamo assistendo: più cresce la mobilitazione attorno alla memoria dell’Olocausto, più sembra attecchire in angoli bui della vita sociale un nuovo antisemitismo. Siamo alla vigilia della giornata della Memoria, che quest’anno ricorderà i 75 anni dalla liberazione di Auschwitz e certamente bisogna dare atto di quanto questo appuntamento abbia assunto un’importanza sempre crescente nella società italiana (con la scuola in prima linea in questo impegno).

Anche a livello politico è stata di grande significato la decisione del Governo di nominare un coordinatore nazionale contro l’antisemitismo nella persona di Milena Santerini e di approvare la definizione formale di antisemitismo varata dall’Alleanza internazionale per la Memoria dell’Olocausto. È stata la stessa Milena Santerini, che è docente di Pedagogia alla Cattolica e vicepresidente del Memoriale della Shoah di Milano, a sottolineare come i dati raccolti dall’Osservatorio rivelino che nel 2019 ci siano stati 251 episodi di antisemitismo, 70 in più dell’anno precedente. Maggior imputato è il web, diventato vero bordo di cultura di questo odio cieco: è sui social che si è consumata la maggior parte degli episodi di antisemitismo. Un’altra ricerca di qualche tempo fa, condotta da Vox (Osservatorio italiano sui diritti a cura, fra gli altri, dell’Università degli studi di Milano e della Sapienza) dà idea di questa escalation: i tweet contro gli ebrei nel 2017 erano 6.700 e nei 12 mesi a cavallo fra il 2018 e il 2019 erano aumentati di due volte e mezzo, fino a toccare la cifra di 15.400.

È un fenomeno che sarebbe sbagliato pensare come un problema che riguarda gli ebrei, perché tocca nel profondo l’intera società italiana e davanti al quale non sono pensabili diversi punti di vista. Il male dell’antisemitismo è un bubbone nel nostro corpo sociale, che si nutre di ignoranza, di rancore, di odio irrazionale. «Per me gli ebrei si difendono difendendo tutti», ha detto Santerini dopo la sua nomina. «L’odio è uno solo e accomuna le sue vittime per colpirle alla cieca. Oggi gli ebrei, domani i rom». Come si può combattere questa piaga sociale? Qualche giorno fa uno storico francese, Georges Bensoussan, ha lanciato una provocazione. «Il vero tabù non è l’antisemitismo ma chi sono gli antisemiti». Secondo il suo punto di vista, siamo sempre pronti a indignarci contro queste forme di odio, ma non si può denunciare il male lasciando poi che i suoi autori restino sempre nell’ombra. L’antisemitismo oggi si nutre di questa impunità. Anzi cresce nel mito folle di riuscire a colpire senza mai venire allo scoperto. È questa impunità che va combattuta, a cominciare dal web, dove ancora tante piattaforme di social network latitano davanti al dilagare di questa piaga.

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