Lotta sanitaria
per la ripresa

Si ritorna al principio di realtà imposto dalla seconda ondata del Covid: i toni espliciti di Conte, un’altra conferenza stampa, i numeri che non concedono appello. Un racconto in parte già visto nella fase esplosiva della pandemia, mentre nelle città risuonano le sirene delle ambulanze e i Pronto soccorso si riempiono. Cambia l’agenda e si ricomincia da dove ci eravamo lasciati: dalle vite da salvare. Il premier, in un’Italia triste, ricerca le parole giuste per legittimare presso l’opinione pubblica quel che è necessario e che va fatto: la chiusura alle 18 di tutti i ristoranti e bar, misure che si aggiungono a quelle sulla scuola. Non poteva che essere così per poter governare la crescita esponenziale (non un semplice multiplo) dei contagi, finché si è in tempo: si chiedono sacrifici a precisi gruppi sociali, e che sacrifici, sperabilmente compensati, all’area del tempo libero e dell’intrattenimento per salvare potenzialmente un numero superiore di vite.

Si dice che il premier sia passato da un Conte all’altro restando il Conte Tentenna, ma i principi che muovono oggi il governo sono gli stessi che ci hanno permesso di superare il passato: massima precauzione, adeguatezza e proporzionalità.

Siamo negli standard europei, tra Francia e Germania. La convinzione che la battaglia sul fronte sanitario costituisce la condizione della ripresa economica. Una frase del premier dà la misura della pressione pandemica e offre una speranza: «L’Italia è un grande Paese, l’abbiamo dimostrato la scorsa primavera, ce l’abbiamo fatta nella prima fase e ce la faremo anche adesso. Le misure prese servono per evitare di chiudere tutto per Natale. Riusciremo così ad affrontare dicembre e le festività natalizie con maggiore serenità».

All’incirca la medesima pedagogia della prima della classe, Angela Merkel. Per quanto attaccato, anche dal fuoco amico, e talora messo alla berlina, il governo, e con lui il Sistema Paese, potrebbe riuscire anche là dove i più autorevoli osservatori, liberi da qualsiasi responsabilità, hanno insistito nel loro scetticismo: contenere l’impatto della più facile e più inascoltata delle previsioni, cioè la seconda offensiva del nemico. Le parole di ieri di Conte ridefiniscono la linea del Piave, l’ultima chiamata per evitare il ripristino della clausura nazionale: sarebbe il collasso. Diritti e doveri, responsabilità individuale e collettiva, una politica vincolata all’evidenza scientifica, accettando i costi dell’impopolarità da parte di chi paga in nome del proprio lavoro. La sperimentazione come metodo, senza avventurarsi nel vaccino, il cui arrivo a fine anno presuppone un atto di fede al servizio di una tesi consolatoria. Siamo di nuovo messi male: meno rispetto all’inizio, forse in misura più contenuta pure nei confronti dei partner europei, comunque vulnerabili. Dopo un’estate relativamente rilassata, ha ammesso la candida Merkel, sintetizzando una tendenza europea.

Pensavamo di averla sfangata anche stavolta, invece ci siamo risvegliati prossimi alle terapie intensive. L’accelerazione virale di questi giorni ha dato proprio l’impressione che «stava per succedere», incubo fin lì non compreso dalla stessa opinione pubblica, perché è difficile accettare sino in fondo il girone in cui siamo precipitati. C’è un altro virus in circolazione, che impedisce di passare dalla denuncia alla ricerca dei conti che tornino: il semplicismo, il tic che conduce a certezze per soluzioni complesse. Difficile farsi guidare dalla ministra Azzolina quando dichiara che nelle scuole il rischio di trasmissione del virus continua ad essere molto basso. È così solo in parte, a livello statistico. In realtà, il punto di caduta sottovalutato è esattamente la ripresa di settembre: scuole, lavoro, sport, locali di ogni genere. Tutto è ricominciato in modo generalizzato, senza distinguere, trascurando l’impatto e facendo leva sull’erronea convinzione che da noi le cose andavano meglio che altrove. La scuola non è riducibile alle sole lezioni, ma alla prova è il sistema scolastico nel suo insieme, che può aver agito come molla del Covid: trasporti, relazioni dei ragazzi dentro e fuori gli istituti, palestre, ecc. Scuole e sanità rinviano alle geometrie variabili dei singoli territori. Vecchia questione, ereditata e irrisolvibile. La polarizzazione nazionale sinistra-destra trascina la conflittualità istituzionale con le Regioni. Qualcosa andrà rivisto, almeno per impedire che la soluzione di un problema ne crei altri. Com’è possibile che, in regime di federalismo teoricamente solidale, pazienti lombardi, bergamaschi compresi, siano stati trasferiti in ospedali tedeschi (grazie Germania) perché non voluti da altre Regioni, che pure ne avevano la disponibilità? C’è un altro fronte che si apre, qualcosa bolle nel pentolone rancoroso della società di un’Italia spaccata: gli incidenti a Napoli paiono prove tecniche di quello che può diventare un disegno eversivo, incrociandosi con la rabbia sociale. Attenzione: pericoloso concedere alibi agli apprendisti stregoni.

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