Ma il fenomeno mafia non è vinto

Italia. La prima cosa che colpisce dell’arresto di un boss mafioso quando lo si vede in televisione è quella sua aria docile e mite, insignificante, inversamente proporzionale alla violenza sanguinaria e al potere di «mammasantissima» che detiene, come per Totò Riina.

Matteo Messina Denaro non sfugge a questa impressione. Non si direbbe che quell’uomo magro e trasandato che entra in un van scuro dei carabinieri sia il feroce e potente capomafia trapanese, alleato dei corleonesi, che ha alle spalle decine di ergastoli per stragi o tentate stragi (quelle di Capaci e via D’Amelio e quelle del 1993 a Milano, Firenze e Roma) oltre che per omicidi orrendi, compreso quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido a quindici anni di età dopo oltre due anni di orribile prigionia.

Cosa ci dice la cattura dell’ultimo dei boss «storici» di Cosa Nostra, fedele alleato dei Corleonesi di «Totò u curto», sulla cui testa pendevano decine di ordini di arresto, che è stato per trent’anni l’ossessione di inquirenti e investigatori?

La prima considerazione è che lo Stato c’è e non molla mai, anche a distanza di 30 anni. I servitori dello Stato che indagano sulla malattia endemica del nostro Paese sanno bene che l’emergenza mafia non è finita, anche se per fortuna è finita l’epoca delle stragi e degli omicidi, a cominciare da quelli di Stato. Ma Cosa Nostra predilige il silenzio al sangue per perpetrare il suo sistema criminoso, non certo per motivi morali bensì per convenienza. La cattura di Messina Denaro ha il merito di rinvigorire l’attenzione dell’opinione pubblica su un fenomeno che è tutt’altro che debellato.

Bisognava fare giustizia del dolore dei familiari di tante vittime e soprattutto, con questo arresto benemerito (in tutti i sensi, perché a realizzarlo sono stati i carabinieri) togliere da «U siccu», come veniva chiamato tra gli uomini d’onore il boss di Castelvetrano, quell’aura di imprendibilità e di leggenda che ne faceva un mito tra i suoi. Cosa Nostra non è onnipotente.

L’arresto nel capoluogo siciliano ci fa poi riflettere con amarezza su questa città. C’eravamo un po’ illusi tutti che con la Primavera di Palermo e i fortissimi movimenti antimafia degli ultimi 30 anni – che pur ci sono stati e hanno migliorato la società civile - la città fosse un po’ cambiata. Invece i suoi gangli mafiosi, la sua zona grigia che fa da liquido amniotico a Cosa Nostra, le tante connivenze che hanno permesso a Matteo Messina Denaro di girare indisturbato sono ancora ben presenti. Continua la tradizione degli uomini d’onore di effettuare la latitanza dentro casa. Ma continua anche l’ostinazione delle forze dell’ordine e della magistratura a indagare, inseguirli, pedinarli e catturarli. Dalla cattura di Riina in poi (lo dicono le carte giudiziarie) non è stato possibile rinnovare la Commissione di Cosa Nostra per via dei continui arresti dei suoi componenti. L’unico che restava imprendibile era Matteo Messina Denaro. Per questo ieri per la storia della mafia si è chiuso un ciclo.

Sarà interessante capire se colui che dai suoi complici veniva chiamato «Madre Natura» sia disposto a collaborare con la giustizia. A quel punto si potrebbe aprire un sipario simile a quello aperto dal pentito Buscetta. Messina Denaro certamente è a capo di una rete militare, finanziaria e imprenditoriale fatta non solo di «soldati» della mafia ma di relazioni esterne, colletti bianchi, collusioni e pezzi della politica, delle imprese, del mondo solo apparentemente legale, persino della società civile. Potrebbe dirci molto su quel famoso «terzo livello» di cui si parla molto ma si sa poco. Quella zona grigia che gli ha garantito l’impunità per trent’anni.

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