Mafie nell’Ue
Non più solo
una questione
italiana

Il giro d’affari della mafia in Europa vale 110 miliardi, circa l’1% del Pil dell’Eurozona. Il rapporto di Ocp (Organised crime portfolio) coordinato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano rende evidente
la pervasività del fenomeno criminale. Il crimine organizzato è diventato parte integrante dell’economia europea. Se ne è reso conto anche il successore in pectore di Angela Merkel, il candidato Cdu alla cancelleria Armin Laschet. Nel suo programma di governo ha messo al primo posto la lotta ai clan mafiosi. È il segno dei tempi ma anche un punto di svolta. Non era mai accaduto prima in Europa. E questo proprio quando due mesi fa a Francoforte sul Meno una pizzeria accostava i nomi di Falcone e Borsellino al padrino impersonato da Marlon Brando. Alla denuncia per oltraggio e diffamazione il giudice ha risposto che da quei fatti era trascorso molto tempo e che comunque erano questioni italiane. In Europa è un pregiudizio diffuso. Tutto ciò che ha a che fare con mafia attiene all’Italia e quindi non riguarda gli altri.

Un atteggiamento che ha favorito la penetrazione dei clan criminali in tutta l’Unione e in particolare in Germania. Il Paese è ricco, offre opportunità e la fiducia interpersonale prevale. Morale: non si fanno controlli. Trent’anni fa la Germania Est ha aperto i confini, per le mafie si sono aperte praterie per i loro investimenti. Secondo testimonianze raccolte nel tempo risulta che a fronte di tutto quel denaro i funzionari si stupissero ma non vi vedessero nulla di illegale.

Così la malavita ha potuto metter piede con facilità. Il problema per i tedeschi di allora era raccogliere capitali da qualunque parte venissero. Una vera manna per la delinquenza perché, sembra paradossale, ma il problema del crimine organizzato è la ricchezza accumulata. È talmente alta da rendere indispensabile il riutilizzo per occultarne la provenienza illecita. Si chiama riciclaggio ovvero la collocazione di capitali sporchi nell’economia pulita. Un fenomeno che si amplia nei momenti di crisi quando aumenta la povertà e la necessità di vendere il negozio, il ristorante, la piccola azienda diventa questione vitale. Non a caso è pressante in questi tempi di pandemia e di difficoltà economiche l’appello delle autorità e delle organizzazioni antimafia per segnalare il pericolo. E si capisce, quando le mafie dominano il territorio cresce il voto di scambio e quindi il rischio di connivenza con apparati dello Stato e con la politica. Il maxi processo aperto a Lamezia in Calabria ne è una prova.

Nel Nordreno Vestfalia, dove il neopresidente Cdu Armin Laschet è anche capo del governo del Land, ha avuto luogo nel 2007 la mattanza di Duisburg dove i clan della ’ndrangheta hanno compiuto sei omicidi davanti ad un ristorante italiano. L’intento delle autorità tedesche è quindi di prevenire e dar seguito ad una legislazione antimafia aggiornata. Colpisce l’accenno nel programma di Laschet alle modalità di contrasto, e alle tecniche investigative. Non ha citato Falcone ma il suggerimento a seguire le tracce del denaro è parso chiaro. I contatti con la polizia italiana sono frequenti. E la legislazione italiana è sicuramente la più avanzata. La confisca di aziende non è prevista in Germania e in termini di indagini patrimoniali e sequestro dei beni criminali Berlino ha ancora molto da imparare. Nella lotta alla criminalità organizzata conta molto la possibilità di collegarsi a livello europeo. A Bruxelles sanno che i 209 miliardi del Next Generation Eu promessi all’Italia fanno gola. Gli appalti sono il grande business e poter garantire che non vadano a cadere nelle mani degli affaristi del crimine è premessa per poterli utilizzare.

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