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ITALIA. Al Governo si può riconoscere il merito di aver concentrato le risorse disponibili su alcune priorità, per quanto legittimamente opinabili.
Alle manovre di bilancio così generose da essere talvolta irresponsabili, come dimostra l’entità del debito pubblico italiano accumulato dagli anni ’80 del secolo scorso, sono seguite le manovre tassa-e-spendi, alternate con quelle lacrime-e-sangue (spesso a opera dei governi tecnici). Una volta lasciata alle spalle la fase acuta della crisi dei debiti sovrani, circa un decennio fa, non sono mancate infine le manovre che gli anglosassoni definirebbero figlie del «virtue signalling»: leggi di bilancio che, per celare il loro piccolo cabotaggio, assumevano connotati esibizionistici a fini elettorali da concentrare in sgravi fiscali o bonus o superbonus dai titoli roboanti e dalle conseguenze effimere.
All’attuale Governo Meloni invece, e in particolare al ministro dell’Economia Giorgetti, si può riconoscere il merito di non aver inseguito ogni anno una nuova trovata di politica economica da sbandierare davanti agli elettori, ma di aver concentrato le (non molte) risorse disponibili su alcune priorità che - per quanto legittimamente opinabili - sono rimaste costanti nel tempo, a partire dal sostegno ai salari medio-bassi e in seconda battuta alla natalità. Non si tratta di una semplice questione di stile ma di una scelta carica di conseguenze innanzitutto sul fronte del bilancio pubblico, uno dei tradizionali talloni d’Achille del nostro Paese. Lo ha confermato ieri il ministro dell’Economia che, presentando il testo della prossima legge di bilancio che ora sarà sottoposto al vaglio e all’approvazione del Parlamento, non ha nascosto l’ambizione di far uscire l’Italia dalla procedura di infrazione europea già quest’anno: «Il debito diminuirebbe - ha detto - se non ci fossero le rate del superbonus da pagare, se scomputa i 40 miliardi il sentiero del debito avrebbe già cominciato a diminuire dopodiché che il debito pubblico sia alto lo sappiamo tutti, stiamo cercando di diminuirlo. Questo governo ha portato in avanzo primario il Paese, cioè non abbiamo portato un euro di debito pubblico in più». La «serietà» contabile, per parafrasare la premier Meloni, non è fine a se stessa; attraverso la maggiore fiducia degli investitori e i minori tassi di interesse che ne discendono, essa infatti «libera» risorse dal servizio sul debito, risorse che possono essere impiegate per altri scopi o restituite ai contribuenti sotto forma di minori imposte. Tale meccanismo virtuoso lo vediamo all’opera anche nella legge di Bilancio presentata ieri, visto che 2,8 miliardi di euro andranno a coprire l’alleggerimento dell’Irpef, con una riduzione dell’aliquota dal 35 al 33% per i redditi tra 28 e 50mila euro, e altri 1,9 miliardi sono stanziati per rafforzare i salari detassando rinnovi, premi di produttività e altro.
Basterà tutto ciò a recuperare la perdita di potere d’acquisto che affligge la classe media del nostro Paese e che oggi è giustamente percepita come un’emergenza? Difficile crederci. Ancora in queste ore il presidente della Repubblica Mattarella ha giustamente puntato il dito sui divari di stipendio che crescono e sui salari che in media scendono, nonostante - ha sottolineato - «la dinamica salariale negativa dell’ultimo decennio vede ora segnali di inversione di marcia». I salari restano, ha detto il Capo dello Stato, «lo strumento principe nel nostro Paese per ridurre le disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso. È una questione che non può essere elusa perché riguarda in particolare il futuro dei nostri giovani, troppi dei quali sono spinti all’emigrazione». Gli stipendi non si alzano per decreto governativo, è bene ribadirlo, ma se maggiori risorse pubbliche vorranno essere indirizzate a incentivare gli aumenti figli della contrattazione, allora servirebbe una certa dose di radicalità. Alla sacrosanta cautela contabile, andrebbe affiancato l’esame certosino dell’enorme bilancio pubblico e poi l’impegno a ridurre alcune spese e molti sprechi così da concentrare le risorse recuperate sul fronte salariale. I parlamentari di maggioranza e di opposizione hanno tutti gli strumenti per iniettare una dose di questa «radicalità» nel progetto di legge di Bilancio presentato dal Governo, a patto di privilegiare fin dalle prossime ore lo spirito repubblicano alle polemiche di corto respiro.
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