Mattarella, pressing
su Conte per fondi Ue

All’apparenza sono parole semplici e persino ovvie. Il Capo dello Stato dice (e fa sapere di aver detto) al Governo: «Dovete dare una risposta concreta e rapida su come vogliamo usare i fondi europei». A saper le cose, questa frase nasconde un duro altolà del Quirinale a Conte e alla sua intenzione di presentare solo a settembre il piano italiano di riforme da mandare a Bruxelles per avere i fondi del Recovery Fund (Next Generation Eu). Un rinvio che ha sconcertato Mattarella, e non solo lui, perché fa a pugni con l’assoluta urgenza di ricevere quei fondi che assommano, almeno al momento, a 172 miliardi tra sussidi e prestiti. Li riceveremo solo a conclusione del negoziato il negoziato potrà procedere se l’Italia (come la Spagna, come la Francia) presenterà in fretta un suo piano di riforme che rassicuri i paesi cosiddetti «frugali» (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia) spingendoli a concedere il loro sospirato sì all’accordo.

Quindi prima noi ci muoviamo prima il treno parte. Ma se noi presentiamo il piano addirittura dopo l’estate, siamo noi stessi a creare difficoltà alla trattativa proprio mentre diciamo che occorre sbrigarsi. E Mattarella non ci sta. Sa che quella garanzia va offerta in tempi brevi e che Conte si deve sbrigare a trovare l’accordo nel governo su come spendere i soldi.

Senza illudersi che in questo lasso di tempo arrivi una sorta di prestito-ponte (10-11 miliardi) che ci consenta di passare l’estate. Non arriverà. Perché gli «altri» ci dicono: se avete bisogno di fondi subito, chiedete quelli del Mes (Fondo Salva-Stati) che sono pronta-cassa. Peccato che mezzo governo, cioè i grillini, si oppone perché è convinto che sia una trappola. Inoltre al M5S pensano che i miliardi del Recovery Fund noi li potremo spendere come ci pare, per esempio abbassando le tasse. No, non si può fare. L’Europa vuole sapere nel dettaglio quali riforme finanzieremo con quei soldi per mettere finalmente l’Italia al passo con gli altri, senza un’amministrazione pachidermica e inefficiente, un mercato interno asfittico, una giustizia imprevedibile, ecc. Bisogna prima presentare un piano credibile con tempi e numeri. Conte dice: ve lo manderemo a settembre. Mattarella risponde: no, glielo devi dare ora. E altrimenti – dice implicitamente con un pizzico di irritazione per non essere stato informato prima – per quale ragione sono stati organizzati gli Stati Generali di Villa Pamphilij?

Come si vede, dietro quelle poche e banali parole, ci sono un mondo di problemi e un attrito tra Quirinale e Palazzo Chigi. Che certo non fa bene alla gracile natura del governo Conte-bis, sempre scosso da brividi febbrili. Ieri, per dire, il decreto sulle elezioni regionali in Senato è stato approvato con soli tre voti tre di vantaggio. E chissà cosa sarebbe accaduto se mercoledì il governo avesse messo ai voti l’informativa del presidente del Consiglio sul vertice europeo di oggi. Probabilmente in Senato sarebbe stato battuto, con conseguenze difficilmente valutabili. E pazienza se Salvini e Meloni hanno fatto fuoco e fiamme per la mancata votazione parlamentare e ordinato ai loro parlamentari di uscire dalle aule. In fondo, un pezzo di opposizione, quella di Forza Italia, è rimasta al suo posto, e anzi ha esposto una posizione sui fondi europei che nel governo è condivisa da Pd, Italia Viva e LeU. Ma non dai grillini che, essendo scossi dalla lotta tra le correnti interne, non possono cedere sul Mes, ormai diventato una specie di feticcio ideologico. È la stessa storia dell’Ilva, della Tav e di tante altre questioni: alla fine, pur di salvare il governo e loro stessi, si renderanno conto della realtà. Di Maio lo ha già fatto, dicono.

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