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MONDO. Sono tante le ragioni e le conseguenze delle tensioni tra Casa Bianca e mondo universitario a stelle e strisce, anche per il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario negli Stati Uniti.
Prima il duro confronto tra l’Amministrazione Trump e Harvard, università simbolo dell’eccellenza accademica americana. Poi lo stop temporaneo di Washington al rilascio di visti per gli studenti internazionali. Sono tante le ragioni e le conseguenze di queste tensioni tra Casa Bianca e mondo universitario a stelle e strisce, anche per il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario negli Stati Uniti. Per l’Europa e l’Italia ci sarebbero da fare innanzitutto utili considerazioni di carattere economico e sociale. Al di là degli aspetti simbolici della battaglia in corso, non mancano infatti gli osservatori che hanno subito evidenziato gli effetti che un indebolimento dell’attrattività degli atenei statunitensi potrebbe avere sul peso geopolitico di Washington.
Un quotidiano finanziario come il «Wall Street Journal» ha ricordato per esempio che «nel 2022 più della metà dei dottorati nel campo dell’Intelligenza artificiale sono stati conseguiti da non cittadini», molti dei quali sono poi andati a lavorare alle dipendenze di colossi americani del settore come Nvidia. Gli immigrati inoltre hanno fondato o co-fondato più del 60% delle principali aziende di AI negli States. Ecco perché è un enorme rischio, secondo il giornale liberal-conservatore, inviare «in giro per il mondo un segnale che gli Stati Uniti non sono più aperti e disposti a istruire i giovani più intelligenti del pianeta (…). Nel politburo cinese si staranno facendo grandi risate per la fortuna che gli è capitata, quella di vedere il loro principale avversario che si spara a un piede da solo». Alessandro Aresu, esperto italiano di geopolitica, è perfino più perentorio: «Se gli Stati Uniti distruggeranno la loro capacità di attrarre studenti internazionali, che è il loro punto di forza fondamentale e ha un’importanza superiore a ogni altro fattore, la Cina vincerà sicuramente la guerra tecnologica». Nel frattempo, a inizio 2025 si registra un leggero calo di iscrizioni di studenti stranieri negli atenei americani, mentre aumentano le richieste per Paesi come il Regno Unito. Cosa cambia per l’Unione europea? Non mancano gli osservatori che già prefigurano un automatico trasferimento di cervelli dal Nuovo al Vecchio Continente, oppure quelli che presumono sia sufficiente qualche finanziamento in più per i nostri atenei - inclusi quelli italiani - per fare tesoro dei cervelli che volessero abbandonare gli States.
Secondo Eurostat, in media quasi la metà dei 25-29enni dell’Unione europea ha una laurea o un altro titolo di studio terziario, mentre in Italia si scende a meno di un terzo (31,7%)
È altamente probabile che sbaglino entrambi per eccesso di ottimismo. Prendiamo il caso del nostro Paese. Secondo l’Istat, nel decennio 2014-2023 si è osservato «un costante aumento dei giovani italiani che scelgono di stabilirsi all’estero, mentre sono stati decisamente più limitati i rientri in Italia». Aggiunge l’istituto di statistica: «Tra i giovani espatriati, quasi 146mila (il 39,7% del totale) possedevano una laurea al momento della partenza. Sul fronte opposto, i rimpatri di giovani della stessa fascia di età nello stesso periodo sono stati circa 113mila, di cui poco più di 49mila laureati. Il saldo migratorio dei giovani laureati è stato costantemente negativo, con una perdita netta di circa 97mila unità nel corso del decennio, un significativo deficit di capitale umano qualificato». Allo stesso tempo non migliorano con la stessa rapidità le condizioni del capitale umano che rimane nel nostro Paese. Secondo Eurostat, in media quasi la metà dei 25-29enni dell’Unione europea ha una laurea o un altro titolo di studio terziario, mentre in Italia si scende a meno di un terzo (31,7%). Il nostro, inoltre, è il quinto Paese dell’Unione con più abbandoni scolastici. Il divario si allarga se consideriamo che la media dei laureati in Italia in materie Stem (Science, technology, engineering and mathematics) è del 6,7%, a fronte del 12-13% in Europa. Tendenze del genere, sia per l’emigrazione sia per l’istruzione terziaria di chi resta, dovrebbero far capire che le risorse destinate al settore sono solo una (piccola) parte del problema.
A cambiare dovrebbero essere, in via prioritaria, i meccanismi di contrasto all’abbandono scolastico, quelli per selezionare i ricercatori e soprattutto per assegnare i fondi pubblici destinati alla ricerca, privilegiando valutazione continua, trasparenza e incentivi meritocratici. In assenza di tutto ciò, rimarremo un Paese in cui l’ascensore sociale rimarrà bloccato, anche in campo accademico. Così faremo sempre più fatica a trattenere chi sceglie percorsi alternativi al di là dei confini, figurarci poi se riusciremo ad attrarre gli scontenti d’Oltreoceano.
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