Nuova Alitalia
ma il buco resta

Riesce francamente difficile associarsi al giubilo con il quale la politica italiana sembra aver accolto l’ennesimo rilancio – sarà il quarto in 12 anni – di Alitalia, ribattezzata «Ita» per far contenta la Commissione europea, che ha chiesto discontinuità tra la vecchia compagnia e la nuova. Una vera e propria ipocrisia di Bruxelles, che è vero che da quando non c’è più Salvini al governo ci vuol bene, ma rischia la faccia se finge di non vedere enormi aiuti di Stato dietro l’operazione. Ogni aereo che decolla da Linate perde 95 euro a passeggero, il conto perdite è almeno di due milioni al giorno. Se andiamo indietro negli anni il contribuente ha messo 10 miliardi sulla coda tricolore. Ed erano anni buoni per il trasporto aereo, alle prese con la conversione low cost a cui l’Alitalia dell’epoca non seppe far fronte, perché era - diciamola tutta - sgradita al potente sindacato interno che è riuscito a strappare una cassa integrazione interminabile e generosa, sempre rinnovata.

Il tentativo di separare la compagnia buona da quella cattiva è già stato fatto e la gestione commissariale precedente ha almeno arginato e contenuto ulteriori perdite. Ma oggi il Covid ha fatto traballare anche i colossi, figuriamoci un’Alitalia che a febbraio aveva 13.521 voli e in aprile 1.490, con i passeggeri passati da 1,4 milioni a 47 mila. Possiamo raccontarci tutte le favole belle sull’Alitalia che va a recuperare gli italiani bloccati nel mondo dalle quarantene o che recupera in estate fino a 650 mila passeggeri, ma il buco resta. E l’idrovora continua a chiedere miliardi. Il «governo del cambiamento», quello su basi talmente nuove che tutto avrebbe dovuto essere rivoluzionato, ha continuato a «prestare» altri 1,3 miliardi ad un’azienda che si guardava bene dal restituire quelli precedentemente ricevuti. Da qui l’imbarazzo della commissaria Vestager che da buona liberale vorrebbe smetterla di assistere aziende decotte. Il nuovo governo dello stesso presidente ha messo in campo 3 miliardi per la nuova fase. Il cambiamento è evidentemente finito con le promesse elettorali, ora badiamo al sodo.

In attesa della newco, l’ultimo commissario, Giuseppe Leogrande, ha chiesto urgentemente che siano versati gli spiccioli: i 150 milioni a fondo perduto del decreto rilancio, parte dei 350 previsti in conto Covid, così da mettere insieme un gruzzolo che fronteggi altri 6-7 mesi di perdite sicure. Per far capire che si vuol uscire dal pantano, nel frattempo, in attesa dei soldi, è stato varato il nuovo consiglio di amministrazione, portato a 9 membri, con tanti saluti alla leggenda dei cda snelli che infatti di per sé non significa nulla, se non il solito fumo negli occhi. Per un’impresa che richiederebbe manager alla Mandrake, di capacità straordinarie, è prevista la ridicola remunerazione di 35 e 70 mila euro, per la solita concessione al pauperismo populista. E pensare che se c’è un nuovo modello per Alitalia può essere (forse) quello della boutique che si distingue per lusso, made in Italy, stile. Perfetto per manager da 2.000 euro netti al mese… I miliardi già perduti andranno insomma sotto il tappeto (ci pensano i contribuenti) e la nuova compagnia «Ita», con marchio Alitalia camuffato, dovrà essere ricapitalizzata con gli altri soldi da rendere però spendibili al più presto, e rilanciata. Il ceo di «Ita», Fabio Lazzerini, in un ruolo certo da non invidiare, dice che i nuovi aerei (che saranno poi gli stessi, con la livrea ripitturata) decolleranno nel 2021. Staremo a vedere, ma intanto occorre preparare un piano quinquennale che vada bene a Bruxelles e soprattutto stia in piedi. Ma ancor prima bisognerà convincere il personale più coccolato dell’intero lavoro dipendente nazionale, ad accettare di scendere a 70 aerei e 4.000 dipendenti.

Sarà la fatica più rilevante della nuova gestione, che chiederà in cambio qualche aiutino statale per rendere la vita più difficile alle low cost. Tocchiamo ferro, perché sono quelle che hanno reso grande Orio al Serio.

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