Nuove tasse
ora tutti corrono
a smarcarsi

La mole degli emendamenti alla manovra economica 2020 presentati dai partiti della maggioranza è così imponente che ci si chiede se chi abbia scritto il progetto di Bilancio appartenga allo stesso schieramento giallo rosso. Novecento proposte di correzione da parte del Pd, oltre quattrocento dal M5S, duecentocinquanta da Italia Viva. Una montagna di alternative su tutti gli articoli usciti da via XX Settembre che, tutte insieme, suonano come una sorta di sconfessione del lavoro del governo o quantomeno come la voglia di riscrivere quasi completamente il testo.

Del resto il ministro del Tesoro Gualtieri lo ha detto: a patto che i conti macro-economici non cambino, lui accetta tutte le modifiche purché dotate di copertura finanziaria. Gualtieri ha le sue ragioni: sono i numeri concordati con Bruxelles a mantenere la situazione relativamente calma sui mercati (anche se lo spread sta salendo) e soprattutto ad evitarci una bocciatura della Commissione. A Palais Berlaymont hanno concesso all’esecutivo anti-Salvini quel tanto in più di flessibilità sui conti tanto da consentire a via XX Settembre di annullare l’aumento già previsto dell’Iva, una misura che da sola costa ventitre miliardi, cioè due terzi della manovra che ne conta trenta. Tutto il resto è poca cosa: spicca soprattutto il modesto taglio al cuneo fiscale, cioè al peso delle tasse sulle buste paga, ma solo a partire dal prossimo luglio e per un massimo di tre miliardi.

«È il segnale quello che conta» dicono in questi casi i politici. Ma questa manovra non si caratterizza per le facilitazioni sugli asili nido o per l’abolizione del superticket, che pure ci sono, quanto per la miriade di micro-tasse che i tecnici di Gualtieri hanno inventato per racimolare quel poco di risorse in grado di permettere un po’ di spesa pubblica. Ecco perché i partiti hanno presentato questa valanga di emendamenti: perché nessuno vuol lasciare la propria impronta sulle tante tasse in più, visibili o invisibili che siano. Ragion per cui la plastic tax, quella che metterebbe in ginocchio le aziende degli imballaggi diffuse lungo la via Emilia e silurerebbe la rielezione del governatore piddino dell’Emilia Romagna, viene da tutti ridiscussa, riscritta, ridimensionata.

«Profonde modifiche» hanno annunciato Conte e Gualtieri, tant’è che se il Movimento Cinque Stelle prova con gli emendamenti a ridimensionare il balzello, il partito di Renzi lo vuole proprio cancellare insieme a tutti gli altri, da quella sullo zucchero all’altra che colpisce le auto-aziendali. Quanto al Pd, ha a sua volta escogitato un meccanismo per salvare le aziendali dal colpo troppo duro elaborato dalla viceministra grillina Castelli, ma non ha ancora deciso come venire incontro agli industriali della plastica che hanno tempestato di telefonate il governatore emiliano Stefano Bonaccini che a sua volta si è messo alle costole di Zingaretti. Ridurre il danno, rimpicciolire la tassa, farla diventare quasi invisibile, ecco l’intenzione dei partiti che, sentendo odore di elezioni, non vogliono certo farsi del male da soli.

L’effetto mimetico dovrebbe essere quello dell’accorpamento Imu e Tasi che, apparentemente innocente, produrrà un aumento della pressione fiscale sugli immobili come hanno già denunciato le categorie. Ma tutte le organizzazioni, sindacali e imprenditoriali, senza contare la Banca d’Italia e la Corte dei Conti hanno criticato in un modo o in un altro una manovra modesta e senza un progetto, senza un vero piano di investimenti pubblici o di politica industriale. Al coro di critiche finora non si era aggiunta la Chiesa che invece adesso si vede colpita per mano grillina dall’ennesima proposta di far pagare l’Imu agli enti ecclesiastici anche di assistenza o educazione. È un vecchio pallino di Grillo che Di Maio per interposto parlamentare sta applicando diligentemente.

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