Partiti malmessi
Da dove ripartire

Stillicidio di attacchi fratricidi e ossessione per le «poltrone», noncurante delle tragedie del Paese: l’uscita-sfogo di Nicola Zingaretti, segretario del Pd, il partito italiano tutto sommato più solido e strutturato, ispira un po’ di simpatia, se non altro perché apre uno squarcio di verità sullo stato marcescente dei partiti italiani. Niente di nuovo, si dirà. Sono 10 anni che l’istituto di ricerca Demos certifica lo stato di sfiducia pressoché unanime dei cittadini verso i partiti, ritenuti l’«istituzione» maggiormente screditata, appena un po’ meglio - è il caso di ricordarlo - del Parlamento (penultimo in classifica). Lo spettacolo delle nomine dei sottosegretari del Governo Draghi è stato il triste cedimento o l’omaggio rassegnato a questa situazione e ha dato ulteriore evidenza di un’occupazione di posti ormai spudoratamente sganciata da competenze. E tuttavia non ci si può rassegnare al degrado. I partiti appaiono ormai consorterie di potere, gestite da professionisti della politica a caccia perenne ed ossessiva di rendite.

La strategia dell’allontanamento disgustato da cui molti cittadini sono tentati è comprensibile ma controproducente, perché finisce con il lasciare campo libero proprio a chi presidia il terreno. Il teatro della politica è anomalo: prosegue anche senza spettatori… E non illudiamoci che sia un problema di leadership. Quale leadership potrà mai emergere da strutture non più vitali? È vero che mai, nella nostra storia repubblicana, i partiti hanno brillato per apertura alla partecipazione democratica e che sempre hanno manifestato una certa condotta verticistica e spartitoria. E tuttavia i partiti popolari dei primi decenni dopo il secondo dopoguerra erano almeno parte integrante di mondi vitali (quello cattolico e quello socialista-comunista, in primis) che avevano strutture organizzative e saldi legami sociali di fronte a cui, in un modo o nell’altro, i partiti stessi dovevano rispondere. La stessa classe dirigente partitica scaturiva da quei luoghi.

Ora i partiti fluttuano nel vuoto e anzi faticano a disciplinare i propri membri che, a caccia di rendite, si muovono sempre più disinvoltamente e spudoratamente, secondo la mera convenienza individuale, lungo l’asse partitico. Il Parlamento, ostaggio di partiti così malridotti, non riesce a fare le scelte giuste, nemmeno quando queste siano razionalmente visibili. L’incapacità di riformare (e cioè differenziare) in un modo sensato il bicameralismo ne è l’ultima e persistente riprova. Ma ripeto: non ci si può accontentare della contumelia. Quali sono i punti fermi da cui ripartire? Anzitutto, non pare più esservi reale alternativa alla collocazione dei nostri partiti entro una cornice europea e una corrispondente famiglia politica. In questo senso, dopo il Pd, anche il M5S si è avvicinato all’adesione al Partito socialista europeo. E - cosa che dovrebbe far riflettere - abbiamo letto tempo fa il leghista Giorgetti, all’esito del voto su una risoluzione contro Lukashenko, indicare sommessamente a Salvini che una condotta più filo-europeista sia un viatico ormai necessario per poter governare in Italia.

Insomma, la cornice europea è il quadro entro cui le forze politiche devono ormai collocarsi e in cui dovrebbe svolgersi la loro dialettica, pena altrimenti l’irrilevanza. E poi servirebbe almeno che si desse finalmente completa attuazione al dettato dell’art. 49 della Costituzione, laddove questo esige un ordinamento interno democratico ai partiti. Non basta declinare la democraticità dei partiti in termini di trasparenza. Occorrono norme prescrittive per assicurare il coinvolgimento determinante degli iscritti nei passaggi essenziali (candidature comprese) della vita dei partiti. Si tratta di un’urgenza cronica e tuttavia i partiti nicchiano e confermano l’incapacità totale di seria autoriforma. Gioverebbe - credo - l’impulso autorevole ed energico di un messaggio del presidente della Repubblica perché questa riforma venisse finalmente approvata. Oppure un atto di coraggio del cosiddetto Governo dei migliori: ne sarà capace o sarà l’ennesima tutela di comodo per partiti ormai rassegnati alla loro ben remunerata inutilità?

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