Paura dei vaccini
Il ruolo dei medici

«Vi guarisco ma poi vi ricuso» è lo sfogo del medico di famiglia di Recanati esasperato da alcuni suoi pazienti no-vax. Si può arrivare a tanto? Ma soprattutto cosa c’è che non va nella relazione tra medico e paziente? Dai tempi di Ippocrate, medico greco del quinto secolo avanti Cristo, il medico è una persona competente e virtuosa che usa l’arte medica per «aiutare e non danneggiare» i suoi pazienti, così scrive - neanche a farlo apposta - nel primo libro delle Epidemie. Quello che legava il medico al paziente nell’antichità, non era tanto la professionalità, quanto «un’amicizia» che nasce nel momento in cui si vuole raggiungere insieme un bene, come quello della salute. La salute dell’organismo si ottiene con l’applicazione delle competenze tecniche e le conoscenze scientifiche della medicina in tutte le sue valenze: diagnosi, terapia, contenimento delle patologie, miglioramento dei sintomi e prevenzione, come nel caso delle vaccinazioni.

La salute è anzitutto un bene fondamentale che permette di realizzare tutto ciò che si desidera, perché la propria vita continui ad essere bella, ricca di relazioni, piena di eventi lieti, cose che la malattia invece compromette o danneggia irreparabilmente. Il «diritto alla salute», che la nostra Costituzione riconosce, oltre ad essere affermato con giusto vigore - anche da chi è contrario al vaccino - deve essere accompagnato dal dovere di mantenere la nostra salute quando ce l’abbiamo.

Da sempre la relazione medico-paziente si fonda su un patto di fiducia reciproca. Sulla fiducia nei benefici di ciò che il medico propone al paziente e sulla fiducia nella collaborazione che il medico si aspetta di ricevere dal paziente stesso. Si parla così di alleanza terapeutica, poiché medico e paziente si alleano per combattere la malattia e recuperare un buon grado di salute. Ma non si tratta di una relazione paritaria. Il medico infatti, in forza delle sue conoscenze scientifiche e dell’esperienza professionale, sa cosa fare per «il miglior interesse» del paziente. Questo ha portato, in passato, a una forma di «paternalismo» dove il medico, di fatto, decideva «per» il paziente. Chi ha una certa età si ricorda questo atteggiamento benevolo, ma anche autoritario sul da farsi dei vecchi medici. Spesso era il paziente stesso che, per ignoranza o per scelta, demandava le decisioni al medico, di cui aveva indiscussa fiducia. Nei Paesi anglosassoni, invece, prevale la volontà di essere scrupolosamente informati e poter decidere in autonomia.

La relazione medico-paziente diventa così un contratto, regolato da precise norme di correttezza professionale: conoscenza, segretezza, rispetto degli accordi presi. Ma soprattutto chi ha il potere di decidere è il singolo, poiché solo lui può concedere, alla medicina, di invadere il proprio corpo. Questa visione, volta a garantire la libertà della persona, rischia di creare conflitti nel momento in cui il paziente rifiuta ciò che invece il medico ritiene necessario per tutelare la sua salute. Per questo si è elaborato il «consenso informato» che permette al paziente di essere consapevole e corresponsabile degli interventi compiuti su di lui, garantendo la sua autonomia decisionale. Tuttavia perché sia veramente un consenso non basta firmare un foglio, ci deve essere un colloquio dove con linguaggio comprensibile viene spiegato quali sono i benefici e possibili rischi e il medico possa ascoltare i dubbi e le preoccupazioni. Per aiutare gli indecisi a vaccinarsi una telefonata dal proprio medico sarebbe segno di attenzione e preoccupazione sincera. Ci vuole tempo, è vero, ma un certo grado di abnegazione, pazienza e spirito di sacrificio superiore a quello richiesto da altri tipi di professione è sempre stato visto come parte integrante dei doveri del medico. Ovviamente questo non legittima nessuno ad approfittarsene, superando il limite della correttezza e della buona educazione. Cosa che purtroppo non è avventa nel caso di cronaca riportato e tantomeno nelle aggressioni verbali o fisiche che purtroppo i medici subiscono. Ma in questa pandemia come stiamo a fiducia?

Oltre sette cittadini su dieci esprimono un parere positivo su medici e infermieri e addirittura uno su quattro valuta in modo «eccellente» il nostro Servizio sanitario nazionale. È quanto emerge dall’indagine «Priorità e aspettative degli italiani per un nuovo Ssn», realizzata da Ipsos nel mese di settembre. E che le prime tre priorità debbano essere la prevenzione, i servizi di emergenza e l’assistenza domiciliare. Inoltre, otto italiani su dieci sono concordi nell’affermare che le vaccinazioni salvano la vita. Dati significativi visto come la crisi di fiducia che investe la maggior parte delle istituzioni e professioni è senza dubbio uno dei principali fattori di destabilizzazione della coesione sociale e delle strutture morali della società contemporanea. Siamo di fronte alla necessità di compiere uno sforzo corale per affrontare questa quarta ondata. A nessuno è chiesto di fidarsi ciecamente, ma in modo ragionevole sì. La possibilità di non ammalarsi gravemente e continuare le attività giornaliere in sicurezza è un obiettivo reale. La paura si vince accettando che il controllo sulla nostra vita ci è dato soltanto fidandoci di chi per professione e per vocazione si prende cura degli altri.

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