Pd a trazione Schlein, il rischio scissione c’è

Italia. Elly Schlein ha ottenuto alle primarie dei gazebo 587.010 voti. Stefano Bonaccini 505.082. La differenza è di 81.978 voti, se abbiamo fatto bene la sottrazione. Nelle votazioni dei circoli (riservate agli iscritti al Pd) a vincere era stato invece Bonaccini con un margine più ampio, 52 a 34 per cento, nonostante che i capicorrente (Prodi, Franceschini, Zingaretti, Cuperlo, Orlando, Bersani, Bettini) fossero più dalla parte della giovane parlamentare che del presidente dell’Emilia Romagna.

Con questi numeri sale così sul podio un personaggio talmente anomalo da far pensare che la scissione sia alle porte. E se non proprio la scissione, una diaspora più o meno silenziosa di iscritti, militanti, elettori e simpatizzanti. Ma che tipo di partito proverà a costruire Elly Schlein?

È una domanda cui si può rispondere guardando la biografia di questa figlia della borghesia progressista, agiata, cosmopolita e poliglotta: femminista, politicamente correttissima e super inclusiva, pro Lgbt e dichiaratamente bisessuale, ecologista della «decrescita felice», anti Tav, contro Israele. Anti-renziana e vicina ai temi dei 5S, al punto che è facile prevedere che il Pd tornerà a guardare ad una alleanza con il partito di Conte per fare un unico blocco «antifascista e progressista».

Per la prima volta al vertice dei democratici non c’è né un ex comunista (come sarebbe stato Bonaccini) né un ex democristiano (come era Letta) ma qualcosa che sta a metà tra Pannella e Fratoianni, il Manifesto e il Fatto Quotidiano, le occupazioni del liceo e le vacanze in barca a vela. È come avere segretaria (o segretario o segretari*?) una delle Sardine che infatti hanno fatto il tifo per lei

E poi c’è un punto fondamentale: Schlein sull’Ucraina non si capisce come la pensi davvero. Invoca pace e negoziati senza dire una parola chiara sull’invio delle armi all’Ucraina, sta dalla parte dell’aggredito, ma non se la sente di dire che dall’aggressore bisogna pur difendersi… Come si comporterà ora che è segretaria? Enrico Letta aveva schierato il Pd su una linea inflessibilmente europeista ed atlantista, dalla parte della Nato e contro Putin: sarà ancora così? E se non fosse, se il Pd si ritrovasse assai più vicino alle riserve di Conte, di Berlusconi, di Salvini su Zelensky? Il risultato sarebbe una Meloni più sola sia rispetto ai suoi alleati che ai democratici con cui ha fatto sponda da quando è scoppiata la guerra. In sostanza, l’elezione di Schlein e le sue non chiarite opinioni di politica internazionale potrebbero indebolire la credibilità dell’Italia che finirebbe per ricadere quasi esclusivamente sulle spalle della presidente del Consiglio.

Ora, detto tutto ciò: quanti militanti del Pd saranno disposti a rimanere nel partito alla Schlein? Il primo a dire: «basta, me ne vado» è stato l’ex ministro Beppe Fioroni, cattolico, già esponente della Margherita e prima del Ppi e della Dc. Il secondo ad esprimere dubbi è stato il sindaco di Bergamo Giorgio Gori che potrebbe emigrare assai facilmente verso il terzo polo di Calenda. Infatti da quelle parti si fregano le mani e prevedono un esodo tutto a loro vantaggio: «Siamo noi l’unica vera casa dei riformisti» diceva ieri pomeriggio in Transatlantico Maria Elena Boschi.

Capiremo se queste prime crepe lungo l’ammalorata diga piddina si trasformeranno in squarci pericolosi al momento in cui ci sarà qualche votazione delicata: per esempio il prossimo rifinanziamento dei decreti che dispongono l’invio di armi a Kiev. Basta aspettare, qualcosa di sicuro accadrà.

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