Perdere tempo
per capire
Alzi la mano chi non si è lamentato almeno una volta. Ma poi che ha fatto? Oggi si passa troppo tempo a trovare giustificazioni e colpe che sono sempre degli altri, della globalizzazione, di processi ineluttabili, di tecnologie malandrine, di competenze disinnescate dalle logiche delle lobby. Bergoglio spariglia le carte e mette di fronte ognuno alla propria responsabilità. Chiama ad una rivoluzione, al rovesciamento di modelli consolidati, dice basta alle scuse, ai pretesti, alle attenuanti. Se c’è qualcosa che non va nella comunicazione, se siamo arrivati al colmo della misura di un’informazione che tradisce gli uomini invece di migliorarli con un’azione «limpida e onesta», l’errore va cercato dentro noi stessi che abbiamo perso il significato del nostro operare, che abbiamo abdicato alla nostra responsabilità e ci accontentiamo del «già saputo».
Una bella botta, insomma, uno schiaffo che fa bene al giornalismo e all’intero processo della comunicazione. Mette in guardia sulle insidie e non solo quelle del web, dettate da troppa velocità e da scarsa capacità di verifica. Il punto centrale sta in una frase: «Perdere tempo per capire». E poi andare, camminare, vedere. Il Papa usa il consiglio principe del buon giornalismo, consumare la suola delle scarpe e non accontentarsi di quello che si vede dallo schermo di un computer. Oggi l’impresa è difficile, perché mancano i soldi, perché il potere, la propaganda, gli uffici delle pubbliche relazioni e la «bestia» che tende a governare la rete, iniettano paura nelle relazioni sociali o addirittura privano della propria libertà le persone più giovani e fragili portandole verso un limite che può avere conseguenze tragiche, e contestano ogni forma di controllo e verifica.
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