Piazzare bandierine
non serve a nessuno

La tribolatissima trattativa per varare il decreto «Rilancio» - che doveva essere in vigore già a Pasqua - ha esposto il Governo ad un serio rischio di credibilità. Se aggiungiamo che il testo che sta uscendo dalle stanze di Palazzo Chigi consta di cinquecento pagine e più di duecento articoli, una montagna di norme fonte di inevitabile confusione e diverse interpretazioni, arriviamo alla conclusione che il Governo sta dando all’ Italia la sensazione di non avere una lucida idea di come affrontare la crisi economica causata dal virus e di cui ancora non vediamo bene le conseguenze sociali.

Eppure ai sette italiani su dieci che temono per il loro futuro e pensano che ci saranno presto proteste di piazza, il Governo Conte si era ripromesso di dare risposte rapide ed efficaci.

Proprio perché i precedenti provvedimenti - tanti, arzigogolati e di contestata efficacia - non solo non hanno offerto che in parziale misura il primo aiuto che ci si attendeva, ma hanno creato un clima di irritazione popolare che ora non può che aumentare. Sarebbe stato necessario che il negoziato tra i partiti alleati scorresse il più velocemente possibile e che i partiti rinunciassero a piantare le loro bandiere identitarie.

L’ avanti e indietro sulla regolarizzazione dei migranti in agricoltura, tra il PD e IV che la vogliono e il M5S che nei fatti la osteggia e ne minimizza la portata, è stata soltanto l’ ultima delle tante questioni su cui la maggioranza si è bloccata. Non è escluso che un tale stallo sia dovuto al fatto che, parlando di migranti, Matteo Salvini ha ritrovato un cavallo di battaglia che negli ultimi mesi si era un po’ smarrito, ed è già risalito in groppa alla ricerca dei voti che se ne sono andati, rimpicciolendo il suo patrimonio elettorale che l’ anno scorso aveva abbondantemente superato il trenta per cento e ora è molto più in basso. Il M5S non vuole cedere a Salvini un argomento di propaganda così efficace, teme la sua risalita elettorale ed è disposto a scontrarsi con gli alleati e a bloccare il decreto.

Ma questo è solo un caso, se ne potrebbero fare tanti. Fino ad arrivare alla battaglia di giugno quando in Parlamento arriverà la decisione sul Mes, il Fondo Salva Stati. Conte, Gualtieri, Renzi, Zingaretti, per non parlare di Gentiloni e Sassoli, sono convinti che i soldi del Mes vadano presi senza tante storie. Ma i grillini su questo argomento rischiano di spaccarsi, anzi di sbriciolarsi nelle varie correnti che costituiscono il Movimento. Ecco dunque il punto di caduta politica del ragionamento. In crisi di credibilità, lacerato da lotte tra i partiti e all’ interno degli stessi, soprattutto nella formazione di maggioranza che dovrebbe essere l’ asse della maggioranza, il Governo potrà affrontare nei prossimi mesi la durissima prova che lo attende?

Se Conte dovesse prendere atto che non c’ è modo per andare avanti, saremmo l’ unico Paese al mondo che si prende il lusso di una crisi di governo in piena emergenza economico-sanitaria. Mattarella difficilmente lo consentirebbe. Ma andare avanti per andare avanti - per «non tirare le cuoia», avrebbe detto Giulio Andreotti - non può che essere un danno per un Paese e un sistema produttivo gravemente colpiti dalla pandemia. E allora? Per il momento non c’ è risposta, purtroppo. C’ è solo da augurarsi che, una volta varato questo benedetto decreto, in Parlamento non si scateni l’«assalto alla diligenza» da parte dei gruppi politici, soprattutto di maggioranza, alla ricerca dei voti di questa o quella categoria. Sarebbe un’ ulteriore riprova di quanto abbiamo sostenuto.

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