Popolare di Bari
Solo guai su guai

Ci risiamo. La crisi della Banca Popolare di Bari è qualcosa di già visto, ed è infatti ripartita la strumentalizzazione e la polemica. In un Paese con scarsa memoria, nulla si impara dal passato. Finirà anche stavolta con un conto da pagare. Più, speriamo di no, la novità di una Banca del Sud da mettere sulle spalle dei contribuenti. Il paradosso è che il sistema bancario complessivo, quello che in questi anni si è unito e consolidato, è ben più saldo che in altri Paesi europei, ma la lista della sofferenza si allunga con storie diverse: Monte dei Paschi,Banche venete, Banche toscane e marchigiane, Carige, e ora il più grande istituto del Sud. Il crack di Bari assomiglia molto a quello delle venete, per l’inganno in cui sono caduti risparmiatori convinti da impiegati che hanno messo nei guai persino amici e parenti, ma è molto più insidioso dei precedenti.

Etruria e dintorni valevano l’1% del mercato bancario, ma hanno creato un caso da talk show permanente. Oggi, però, sono parte del solido sistema Ubi e i 4 miliardi che hanno consentito di far sopravvivere dipendenti e correntisti sono stati non a carico del pubblico ma del sistema interbancario. Eppure hanno spostato milioni di voti, interrotto un ciclo politico e hanno persino promosso un discutibile «risarcimento» pagato con soldi trovati in fondo al barile dei conti dormienti.

Per Bari, la prospettiva è peggiore perché non solo ci sono già sul piatto 900 milioni dei contribuenti e il precedente del risarcimento sarà presto invocato, ma non ci sono più conti dormienti. Sarà accollato a chi paga le tasse il costo di una truffa privata a danno di chi sperava di guadagnare (si chiama rischio) e si è trovato in mano un pugno di mosche (paghino se mai gli organi di vigilanza, se si accerterà una responsabilità con regolare processo).

Dato che stavolta tocca agli ex contestatori, andati al governo grazie all’indignazione precedente, tacitare la nuova ondata di proteste, ci si inventa un meccanismo di distrazione: far nascere una nuova Banca del Sud, ovviamente pubblica. E questa sì sarà un guaio serio. Si ritornerebbe alla logica della Cassa del Mezzogiorno e dell’Isveimer, messo in liquidazione dopo aver fatto traballare il Banco di Napoli quando nel 1996 aveva accumulato in un solo anno oltre 600 miliardi di lire di perdite, mangiandosi tutto il patrimonio. Insomma, un guaio che rischia di far nascere un altro guaio. Meglio cercare di procedere con serietà, perché il risparmio è un tema laicamente sacro, e smetterla di risolvere tutto criminalizzando il feticcio «banchieri» (uno dei bersagli del populismo, quasi come Europa e migranti), e attendere invece i sacrosanti processi per manager che hanno sbagliato o rubato, e pagheranno caro, ora con il commissariamento e domani con sentenze probabilmente pesanti. Con buona pace degli ex predicatori, non c’è un solo banchiere «salvato» da provvedimenti governativi. Se mai sono stati messi in sicurezza decine di migliaia di posti di lavoro e nessun risparmiatore normale (sotto i 100 mila di deposito) ha avuto problemi. Quanto agli azionisti e obbligazionisti è stupefacente che ci siano stati ancora investimenti «baciati» a Bari (ti do il mutuo se compri le azioni) dopo quelli di Vicenza e Montebelluna.

Quanto alle responsabilità di sistema, è vero che Banca Italia ha ritardato al massimo l’intervento, e si vedrà se colpevolmente, ma in un sistema libero il fallimento esiste. Solo i dirigisti lo escludono a priori, tanto paga lo Stato.

Se poi parliamo della politica, non si straccino le vesti quelli che hanno combattuto la riforma delle Popolari e delle Casse Rurali, per biechi e unanimi (a Bari) interessi di bottega locale. Perché guarda caso quella di Bari è una popolare che ha rifiutato la riforma Padoan. Una riforma fatta per evitare le dinastie familiari (gli Jacobini padre, fratello e figlio) e i piaceri agli amici degli amici, che diventano poi in inglese non performing sloans, così non si capisce bene che cosa sono.

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