Produttività vera sfida
La guida del Nord

L’ Unione europea è in subbuglio, l’Italia deve fissare la rotta del nuovo governo, le elezioni regionali in Sassonia e Brandeburgo premiano il partito sovranista e nazionalista. Grande è la confusione sotto il cielo europeo ma Angela Merkel non se ne cura e va in Cina. È il suo dodicesimo viaggio nella Repubblica popolare su quattordici anni di governo. L’interscambio fra Germania e Cina viaggia sui 200 miliardi con un surplus commerciale che premia Berlino. Se dovessimo trovare una parola chiave per la politica industriale del suo cancellierato questa è da cercare a Pechino. Spingere al massimo le esportazioni e creare sempre nuovi sbocchi per i prodotti tedeschi è la filosofia che ha guidato il suo governo negli anni. Una logica strettamente economica che ora mostra le corde.

Trump ha dichiarato guerra ai vincitori della globalizzazione. I suoi dazi hanno messo in crisi il commercio e la prima a risentirne dopo la Cina è la Germania. Se le auto tedesche faticano ad andare oltre Atlantico giocoforza occorre stringere con la Cina. È l’ impero di mezzo che può bilanciare il calo industriale e sopperire ai vuoti delle esportazioni causati dalla crisi. Ma la Cina a sua volta fatica a contenere i danni dell’ostilità americana. La lotta allo spionaggio industriale, al predominio di aziende come Huawei, alle infiltrazioni cinesi in settori sensibili delle telecomunicazioni fanno il paio con i dazi e mettono il gigante asiatico sulla difensiva. La Germania da sola non basta per togliere i cinesi dall’imbarazzo.

Se quindi l’export tedesco non riesce a crescere in Oriente va da sé che occorre cercare nuovi mercati. Un mercato sinora è stato trascurato ed è quello interno tedesco. Questo spiega il posizionamento della politica tedesca verso nuovi investimenti infrastrutturali in Germania e spiega soprattutto l’attivismo di Ursula von der Leyen che spinge per Paolo Gentiloni agli Affari monetari. Può essere che il gioco alla neo presidente della Commissione non riesca, ma è chiaro che si aprono nuove prospettive. Christine Lagarde dice di voler continuare con la politica di Mario Draghi e quindi garantire bassi tassi di interesse. Avanza un ruolo della Banca Centrale che va oltre i compiti strettamente monetari e ne teorizza i compiti di supplenza in attesa che si formi una politica fiscale comune nell’area euro. Alla Germania può andare bene visto che l’economia è in recessione e non è escluso che debba faticare a tenere il deficit sotto controllo.

Ma il punto chiave è che occorre impedire ai mercati chiave come quello italiano di andare alla malora. Se viene meno il mercato interno della Ue dove la Germania piazza il 60% delle sue esportazioni allora sì che il modello tedesco potrebbe vacillare. Per l’Italia è uno scenario favorevole. La sirena dell’uscita dall’euro che ancora ammalia porta il vascello Italia sugli scogli della bancarotta. Sarebbe la vittoria per tutti coloro che osteggiano la lotta alla burocrazia, alla corruzione, alla giustizia lenta, all’evasione fiscale, all’assistenzialismo, all’abusivismo, ai ritardi nella digitalizzazione e all’incentivazione alle imprese. Un Paese fermo nei suoi difetti non può spingere i ceti improduttivi a cercarsi un lavoro nei settori competitivi. È il nord industriale che deve dettare la linea e lo può fare guardando alle sue imprese. La vera sfida è la produttività. Emancipare il sistema dal parassitismo sociale, dall’ inattività. Con la liretta i costi aggiuntivi per il sistema produttivo li abbatte la svalutazione ed è la classica scorciatoia che mette tutti d’accordo. C’è solo un perdente: il Paese nella sua ambizione di emanciparsi e non ridiventare la cenerentola d’Europa.

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