Provvidenza
e speranza

Se l’esordio era «Te», con la sigaretta leggermente pendente tra l’indice e il medio, chiusa dal pollice, seduto alla scrivania di fronte, con le gambe accavallate e il busto ampiamente rilassato sullo schienale della sedia, forse potevi pensare di rispondere, persino di abbozzare un sorriso, e guadagnarti un (rarissimo) complimento. Ma se l’incipit era «Tu», braccia conserte, in piedi davanti alla tua scrivania, allora potevi star certo che sulla tua testa stava per abbattersi un ciclone. Lo sapevano anche le mosche, che appena vedevano aprirsi la porta della «Cronaca» e intravedevano il clergyman scuro nello spiraglio, si fermavano all’istante, dovunque fossero, anche a mezz’aria, senza più batter le ali.

Se c’era il capo, Renato Possenti, «santo patrono» degli indifendibili pure di fronte all’evidenza più sfacciata, potevi sperare nella clemenza della corte, altrimenti silenzio e occhi bassi, anche se il cicchetto (e che cicchetto...) non doveva essere rivolto a te, o, peggio, era privo di fondamento, come ogni tanto capitava. Comunque finisse, imparavi sempre qualcosa, anche «solo» a stare al mondo, che non è mai poca cosa. Il mito di Andrea Spada è naturalmente avvolto da un’aneddotica infinita, sviluppatasi in 51 anni da Direttore (per lui - e solo per lui - scritto con la lettera maiuscola), ma è ovvio che alla base di un gigante del giornalismo italiano - al pari di Montanelli, Bettiza, Spadolini, Scalfari, tanto per intenderci - c’è ben altro di un atteggiamento severo, e comunque necessario per governare il timone tenendo la barra dritta in tempi spesso burrascosi.

La tempra di Andrea Spada ha smesso di consumarsi quindici anni fa, il 1° dicembre del 2004, là dove era stata forgiata, nella sua Schilpario, antica colonia penale, estremo lembo di terra bergamasca, che a don Andrea aveva dato tutto ciò che serviva per diventare quel che è diventato.

La fierezza, il carattere, il carisma che hanno marchiato a fuoco la sua vita ricalcano le origini profonde di questa valle e di questa gente, orgogliosa e tenace, «i bergamaschi dei bergamaschi». Il cielo azzurro di Schilpario - «così bello quand’è bello» - era stato assorbito dai suoi occhi, chiarissimi e profondi, mentre la roccia delle sue montagne gli ha dato la forza necessaria per opporsi sempre, da sacerdote e da giornalista, ai prepotenti e ai «papaveri» di quei tempi. Ma la parte più nobile di quelle rocce, la dolomia, gli era finita tutta nel cuore: all’apparenza quello di un duro, in realtà un «cuore grande», pronto a sciogliersi fino a «sbriciolarsi». Un burbero solamente di facciata, insomma, dietro il quale si celava un uomo buono, persino timido, capace di commuoversi davanti alla semplicità di un piccolo gesto.

Ultimo nelle chiacchiere, primo nella concretezza, il Direttore fu davvero il pioniere dell’informazione «glocal», globale, ma vicino alla gente, impegnato in un’opera di «informazione - formazione» che il giornale «deve sì realizzare, ma con estremo senso di misura, conoscendo i segreti di un quotidiano che non vuole estraniarsi dalla realtà dell’opinione pubblica». Per questo ha sempre fatto un giornale fedele alla Chiesa, ma non clericale; vicino ai cattolici in politica, ma con autonomia e distacco; aperto alle voci del mondo, ma profondamente ancorato alle radici della propria terra; teso a conquistare sempre nuovi lettori, ma determinato a non trascurare gli interessi di quelli ormai affezionati da tempo. Una linea editoriale chiara e precisa, che stupisce ancora oggi per l’immutata freschezza e attualità. «Una presenza cristiana - scriveva -, ma per essere presenza vera ed efficace, deve essere intelligente e discreta».

Non a caso, don Andrea seppe interpretare sempre con speranza la convulsa storia di cui fu testimone e protagonista. Con speranza, perché - come ricordò il vescovo Roberto Amadei ai funerali di Spada - nella cronaca quotidiana non leggeva esclusivamente il negativo, ma scorgeva e cercava di portare alla luce e alla conoscenza di tutti i semi di bene presenti in ogni cosa. Sul suo giornale, i protagonisti non erano soltanto gli episodi, «ma l’umanità buona vissuta con semplicità dalle persone comuni, non notate da occhi distratti dal superficiale e non inquinate dal prurito del male».

Instancabile sostenitore della Provvidenza (ma come scrisse Pino Capellini fu proprio lui a incarnare la Provvidenza negli anni più difficili de «L’Eco»), alla fine, nel cuore di Spada, era sempre la speranza ad avere la meglio. «Ci sono giorni in cui, apparentemente, il giornale non serve a niente - annotava nei suoi appunti -, ma vengono le scadenze, ed è nel suo insieme che viene fuori il significato della sua quotidiana presenza cristiana nell’opinione pubblica. Anche se è una goccia al giorno, anche se qualche giorno può sembrare asciutto».

Parole di speranza, certo, ma anche un insegnamento e un’eredità morale che - insieme - vanno vissuti, coltivati e trasmessi, giorno dopo giorno. Mi piacerebbe prometterglielo, Direttore, ma non so se ne sono capace e se ne ho la forza. Io ci provo, mi aiuti lei.

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