Quale identità per i cattolici Pd

ITALIA. I cattolici democratici hanno perso un’altra occasione per uscire dalla loro irrilevanza dentro il Pd. Potevano votare insieme alla maggioranza a favore del reato universale di maternità surrogata - che i suoi fautori chiamano con un termine gentile «percorso di gestazione per altri» per cercare di edulcorare la realtà di una gravidanza in affitto o mascherata da «dono», come è stato proposto da un emendamento - ma hanno preferito uscire dall’aula di Montecitorio al momento della votazione con il resto dei democratici in nome del bene supremo dell’unità del partito (unica eccezione la deputata Paola De Micheli).

Era questo il caso di riaffermare la propria identità, la propria storia, i propri valori, il proprio credo profondo. E invece ancora una volta le logiche politiche scavalcano le proprie convinzioni etiche.

Quella dell’uscita dall’aula al momento del voto - in maniera un po’ pilatesca - è stata solo una tattica per coprire con una foglia di fico i contrasti interni e non far troppo male alla segretaria Elly Schlein, che alla maternità surrogata è favorevole. Ma non si era detto che i cattolici dovevano lavorare per il bene comune? Certo, si trattava di votare con la maggioranza stando all’opposizione, ma ci possono essere casi in cui il bene comune sta anche dall’altra parte e chi è coerente con le proprie convinzioni etiche non ha paura di riconoscere la bontà di una legge, da qualunque parte arrivi. Anche perché la Costituzione garantisce i deputati dal vincolo di mandato in nome della libertà di coscienza (articolo 67). È dall’inizio della legislatura che i cattolici democratici ripetono che la maternità surrogata è un obbrobrio. Del resto non è necessario essere cattolici di fronte a una pratica che sfrutta il corpo della donna in nome di un desiderio di paternità o maternità (le femministe infatti sono contrarie). Quanto alla favola del «dono», chi è genitore sa quanto cruciale, vincolante e meraviglioso sia il percorso di una gravidanza, conosce perfettamente il rapporto che si crea tra quella creatura e la propria madre. Quel figlio che nasce in grembo, giorno dopo giorno, quel miracolo della vita, può concludersi con la cessione del neonato a un altro soggetto solo nei desideri egoisti di chi vuole un figlio a qualunque prezzo, anche a costo di rendere un bimbo orfano della sua madre biologica.

Altro che dono. Si tratta di mercato, di sfruttamento del corpo (che fa parte dell’anima) della donna. E a proposito: le donne cattoliche dentro il Pd cosa hanno detto sull’utero in affitto? Quali voci si sono levate in aula contro questa pratica? Per mesi e mesi si è parlato di confronto. «Apriremo un confronto». «Elly tenga presente anche la voce dei cattolici nel partito». «È una pratica disumana e inaccettabile». Poi tutti in fila fuori dall’aula come dei lemming per non offendere la segretaria. Ma l’aspetto paradossale è che i cattolici democratici uscivano da tre giorni di ferventi e appassionate celebrazioni del Codice di Camaldoli, la carta dei valori dei credenti che militano in politica. Tre giorni a rimarcare l’esigenza di una politica come più alta forma di carità, di inni allo spirito di servizio, al bene comune, di peana ai «liberi e forti». Per poi finire per astenersi, dopo il solito psicodramma, al momento di mettere in pratica il proprio credo in politica, le proprie convinzioni profonde, cristiane e umanitarie, in qualunque campo esse si trovassero. E in tutto questo forse si scorge il declino dei cattolici democratici, sempre più ai margini della politica e sempre più al centro della convegnistica, ovunque pronti a passare in rassegna i padri fondatori, i Fanfani, i Moro, i La Pira, i Dossetti, i De Gasperi come i titoli di coda di un film, mentre gli spettatori escono dalla sala. Padri fondatori che l’altro ieri in aula avrebbero convintamente votato contro la maternità surrogata. Perché sapevano leggere i tempi e i pericoli del progresso alla luce del Vangelo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA