Quel di più di vita piena che unisce santi e morti

ITALIA. La solennità di tutti i Santi e la commemorazione di tutti i fedeli defunti sono due ricorrenze della tradizione cristiana che hanno un’intensità particolare, accentuata dalla scelta che le colloca in fila una dopo l’altra sul calendario, il primo e il secondo giorno di novembre.

Per certi aspetti, esprimono due realtà che hanno tratti diametralmente opposti: i santi sono coloro che hanno vissuto un’esistenza cristianamente piena, che li fa riconoscere come quelli che hanno vissuto un di più – in questo senso, sono i più vivi di tutti. Ma per un altro verso, questi due giorni sono da prendere insieme: sono separati solo dal confine invisibile di un secondo, da un unico ticchettio di lancetta che, con lo scoccare della mezzanotte, chiude il primo per aprire l’altro. Uno spazio così esile e sfumato tra la vita al suo massimo splendore e la morte nella sua drammatica ineluttabilità dice che questi due momenti sono legati: c’è qualcosa del significato della vita e del mistero della morte che si capisce solo nel loro intreccio, solo nell’interstizio tra il primo e il secondo giorno di novembre. Tale è la prospettiva cristiana.

I due giorni sono accomunati da una dimensione di totalità. Tutti i santi e tutti i defunti, senza eccezioni. «Tutti» perché ogni uomo e ogni donna che attraversano l’avventura umana sottostanno a due grandi leggi: quella della santità e quella della morte – in questo preciso ordine. «Tutti» vuol dire che ciascuno è toccato da questi due orizzonti: c’è una solidarietà di tutta quanta la nostra specie in questo duplice destino.

Certamente, chiunque mette piede su questa terra sa che prima o poi dovrà morire, non è una grande novità. Ma per la fede cristiana, tutti sono chiamati a un più di vita, che i santi rendono visibile e riconoscibile sulla propria pelle, dentro le proprie azioni e nell’eco delle proprie parole. Un «plus» di esistenza che la morte non riesce più a cancellare e a riassorbire. E questa chiamata è prima di quella della morte – è il primo giorno di novembre rispetto al secondo – perché è più originaria: è questa la lente attraverso cui guardare anche il dramma della fine. In questi due giorni si condensa qualcosa che ha le proporzioni della totalità: riguarda tutti, tutta la storia, il destino futuro e ultimo di ogni cosa, da cui dipende il significato delle nostre azioni più banali e quotidiane. Tutti dovremo morire; ma tutti abbiamo un appuntamento con la vita piena, già oggi.

La santità e la morte aprono dunque uno spiraglio attraverso cui si vede qualcosa della nostra speranza ultima, quella della vita eterna, di ciò che dura e rimane per sempre. Guardare e ricordare tutti i defunti dal poggiolo della chiamata a essere santi permette di scorgere come la vita eterna di tutti sia già cominciata dentro la vita quotidiana di qualcuno, e non sia solo qualcosa che ci riguarderà quando scorreranno i titoli di coda sulla nostra permanenza terrena: se i nostri defunti sono vivi, lo sono in Dio – perché umanamente sarebbero solo ricordi, nostalgie, rimpianti e foto defilate sulla mensola del salotto, da incontrare con lacrime che gli anni fanno diventare forse meno visibili ma non meno dolorose. I santi sono coloro che hanno creduto così tanto a questa vita eterna di Dio da provare, con un pizzico di audacia, a viverla già nel tempo a loro disposizione sulla terra: se il Dio di Gesù Cristo è l’unica grandezza che sembra poter superare quella della morte, perché non prenderla sul serio, come dimensione che fin d’ora misuri l’esistenza e il suo scorrere? Questa è l’intuizione che si legge in filigrana dentro l’azzardo della santità.

È qui il filo sottile che unisce le due celebrazioni: la santità dice che la vita eterna, la vita di Colui che è Eterno, comincia già nella vita quotidiana. Il destino di morte certamente attende tutti gli uomini, ma vivere la vita di Dio dilata la vita umana secondo una scala che la morte non riesce più a gestire e a compitare.

Questa coppia di ricorrenze invita dunque a contemplare la scintilla di vita eterna che si riverbera nell’esistenza dei santi, per riconoscervi la scia di luce che rischiara la nostra chiamata a vivere in pienezza e illumina di speranza la sorte dei nostri cari.

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