Rompicapo Mes
Allarme rosso

Il voto sul Mes del 9 dicembre potrebbe davvero diventare la causa di una crisi di governo molto seria e di difficile soluzione. Il perché è presto detto. Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Gualtieri ha firmato l’accordo all’Eurogruppo sulla riforma del Mes: il governo italiano ha così cambiato posizione, essendosi per un anno dichiarato contrario a quella riforma se non inserita in un «pacchetto» di altre misure. Gualtieri ha rassicurato i contrari alla riforma sostenendo che essa è profondamente cambiata rispetto al testo originario a suo tempo respinto, e inoltre che approvarla non vuol dire usufruire dei fondi messi a disposizione per l’emergenza sanitaria (37 miliardi a tasso zero e pronta cassa). La rassicurazione non ha convinto tuttavia i moltissimi grillini che restano contrari sia alla riforma sia, e ancor di più, ad usufruire di quei fondi.

Tanto più che, se il debole reggente del movimento Vito Crimi aveva approvato cautamente la condotta di Gualtieri, Luigi Di Maio ha addirittura definito «peggiorativo» l’accordo dell’Eurogruppo firmato dal suo collega di governo. Risultato: 16 senatori e 52 deputati del M5S hanno scritto una lettera per annunciare il loro voto contrario alla risoluzione da portare al Consiglio Europeo per la definitiva ratifica del «nuovo» Mes. Senza quei 16 senatori il governo a Palazzo Madama va sotto, la risoluzione sul Mes viene respinta e Conte si deve immediatamente dimettere. Pericolo rosso, dunque.

Fino a qualche giorno fa si sarebbe detto: pazienza se i soliti grillini sconclusionati votano contro, tanto ci sono sempre alcuni dei 52 senatori berlusconiani pronti a votare a favore della risoluzione e a dare una mano a Conte. Peccato che nel frattempo Berlusconi abbia cambiato linea: adesso dice anche lui «no» alla riforma, ma sì all’utilizzo del Mes. Quei soldi, dice, ci servono però il nuovo testo per l’Italia è pericoloso. Berlusconi ha impresso questo vistoso dietro front dopo aver indotto solo qualche settimana fa il riottoso Salvini e anche la Meloni, a votare a favore dello scostamento di bilancio. Poi però è successo qualcosa in quella casa: Salvini deve aver detto qualcosa che ha fatto cambiare idea al Cavaliere, c’è chi dice che avrebbe minacciato di aprire definitivamente le porte della Lega ai transfughi azzurri (che dovrebbero essere più numerosi dei tre recentemente saliti armi e bagagli sul Carroccio). Sta di fatto che adesso i voti di Forza Italia in Senato non ci sono più. O meglio: non ci dovrebbero essere perché anche lì c’è baruffa: «Non ci faremo ricattare da Salvini», hanno detto in parecchi, insofferenti del potere leghista nella coalizione che fu fondata da Berlusconi ma che ora sta passando di mano, neanche tanto lentamente...

Si dice che, per superare l’impasse, il compromesso cui si sta lavorando a palazzo Chigi consista nella frase: «In ogni caso l’Italia non chiederà mai i fondi del Mes» da inserire nella risoluzione in votazione il 9 dicembre. Peccato che il Pd non firmerà mai una simile dichiarazione capestro: a via del Nazareno sono anzi tutti convinti che prima o poi quei soldi ci serviranno e dunque che dovremo chiederli… Come se ne esce?

È inevitabile che la prospettiva di un rischio così serio per la tenuta del governo si intrecci con quella di un rimpasto delle poltrone ministeriali che Italia Viva chiede da tempo e che anche il Pd potrebbe cominciare ad accarezzare. È una cosa che aleggia e che Conte ha cercato fin qui di allontanare non potendo prevedere l’esito di una simile partita: già, perché invece di un Conte-tre, alla fine potrebbe anche nascere il Draghi uno.

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